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E’ ufficialmente entrata in vigore, dal 1 gennaio di quest’anno, la nuova regolamentazione relativa al trattamento fiscale delle criptovalute. Un argomento tanto dibattuto che ha creato innumerevoli discussioni perché spesso lasciato vacillare nell’interpretabilità.

Da anni ormai le valute digitali dominano i mercati finanziari, i soldi non girano più fisicamente ma virtualmente, grazie alla sempre più avanzata tecnologia. Ma se il sistema degli asset digitali progredisce, il fisco rimane indietro. Infatti, da tempo ci si interroga come considerare le cripto attività nelle dichiarazioni dei redditi, che fino al mese scorso venivano considerate monete estere. Ma il settore è fortemente in crescita ed è arrivato il momento di collocarlo a dovere.

Entrano così in vigore, con la Legge di Bilancio 2023 redatta dal governo della premier Meloni, le nuove regole sul trattamento delle tasse sulle criptovalute. La prima approvazione è stata il 22 novembre, dal Consiglio dei Ministri, seguito da quella della Camera prima e il Senato dopo.

Tasse sulle criptovalute: le nuove regole

Il testo introdotto stabilisce che le plusvalenze generate dalle crypto vanno ricondotte nel dominio dei “Redditi diversi” a cui viene applicata una aliquota del 26%. Non vale per tutti gli importi, in quanto è stata introdotta una franchigia: tutte le plusvalenze al di sotto dei 2.000 euro sono considerate esentasse.

Per plusvalenza si intende la differenza di valore tra la vendita e l’acquisto delle cripto attività. Mentre, non si calcola per le operazioni di conversione tra criptovalute simili, come descritto dall’articolo 31. La norma recita: “non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante la permuta tra cripto attività aventi medesime caratteristiche e funzioni.”

Facendo un esempio, se i BTC vengono scambiati con gli euro si genera una plusvalenza, ma se vengono permutati per USDC la plusvalenza rimane potenziale fino a quando non verrà convertita in valuta a corso legale. E solo in quel momento verrà tassata.

Si è quindi cercato di liberare ogni tipo di interpretazione, anche da parte dell’Agenzia delle Entrate, che considerava rilevante le conversioni crypto-crypto ma complicato da attuare per mancanza di chiarezza.

Non è invece rilevante dove comprare Bitcoin o altre criptovalute. Poco importa che la piattaforma sia italiana o estera, anche se è importante scegliere un exchange che consenta di scaricare uno storico delle transazioni.

Ha invece rilevanza fiscale l’uso di una cripto attività per l’acquisto di un servizio, un bene o una qualsiasi tipologia di attività legata agli asset virtuali come, ad esempio, comprare un NFT con una moneta digitale.

Le crypto, inoltre, dovranno essere indicate nel quadro RW nella dichiarazione dei redditi. Un passaggio che serve solo per un monitoraggio fiscale.

L’importo fai da te per anticipare i pagamenti

Il valore di acquisto di una crypto deve essere redatto dal contribuente che, se non ha la possibilità di documentarlo, il valore diventa 0. In questo caso la plusvalenza sarà uguale al valore totale in possesso, e la tassazione applicata avverrà interamente su di esso. Si deduce che questo parametro diventa fondamentale per l’ammontare da versare, quindi anche l’importanza di dimostrarlo, cosa non facile trattandosi di criptovalute.

L’articolo 32 però, offre un’alternativa. Ovvero, si può “annullare” il valore d’acquisto a gennaio con il pagamento un’imposta sostitutiva del 14% sul valore totale in possesso. La futura prossima plusvalenza sarà così calcolata da questo valore come valore d’acquisto. Ogni singolo soggetto dovrà fare i propri calcoli e capire cosa è più conveniente fare.

Vi è poi una postilla per coloro che non hanno indicato le proprie attività in crypto nella dichiarazione annuale entro il 31 dicembre 2021. Per legalizzare la propria posizione si attua quanto descritto nella legge numero 197, del 29 dicembre 2022, comma 140 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale. La norma prevede il pagamento di un’imposta sostitutiva del 3,5 per cento del valore delle attività detenute al termine di ciascun anno, o al momento del realizzo, nonché di un’ulteriore somma, dello 0,5 per cento, per ogni anno del predetto valore, a titolo di sanzioni e interessi per l’omessa indicazione.

Al di là di essere favorevoli o contrari a questa nuova forma di tassazione, c’è una certezza che emerge: il governo italiano riconosce le criptovalute e le considera anche una fonte di reddito.

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