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Il “nuovo” consumo digitale e le misure di sostegno al mercato unico digitale europeo

Brevi osservazioni ai D.lgs. n. 170/2021 e D.lgs. n. 173/2021

di Carlo A.M. Corazzini


Il D.lgs. n. 170/2021 e il D.lgs. n. 173/2021 implementano rispettivamente la Direttiva (UE) 2019/771 [1] relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni e la Direttiva (UE) 2019/770 relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali.

Gli interventi normativi in questione si inseriscono nella strategia finalizzata alla definizione del mercato unico digitale europeo, il quale si prefigge lo scopo di affrontare, secondo un approccio olistico, i principali ostacoli allo sviluppo del commercio elettronico transfrontaliero e, allo stesso tempo, stabilire un quadro normativo completo, armonizzato e che agevoli l’integrazione della dimensione digitale nel mercato interno.

Tenendo in considerazione le potenzialità e peculiarità del mercato digitale, la ratio delle Direttive sopra richiamate è da rinvenirsi, da un lato, nella necessità di armonizzare alcuni aspetti concernenti i contratti di fornitura di contenuti o servizi digitali e, dall’altro, di accrescere la certezza e la fiducia dei consumatori, nonché ridurre i costi e i rischi legati alle transazioni online. Come sottolineato dalla Commissione [2], detta esigenza armonizzatrice è radicata nella necessità di introdurre norme “moderne” e più in linea con le prassi di mercato sviluppatesi negli ultimi anni di pressante innovazione tecnologica, anche per offrire strumenti giuridici più efficaci a presidio e miglioramento del mercato interno dell’Unione.

Le lacune e le differenze normative presenti tra i vari ordinamenti, infatti, si ripercuotono negativamente non solo sulla fiducia risposta dai consumatori nel mercato, ma anche sui costi che gli operatori transfrontalieri sono tenuti ad affrontare per offrire i propri beni o servizi, il che incide anche sulla loro competitività a livello nazionale e internazionale.

Nel recepire le Direttive sopra menzionate, il Legislatore italiano ha modificato sostanzialmente le previsioni del D.lgs. n. 206/2005 (“Codice del Consumo”), estendendone l’ambito di applicazione oggettivo, sostituendo integralmente il Capo I, Titolo III, Parte IV, rubricato “Della vendita di Beni” e inserendo il nuovo Capo I-bisDei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali”.

In considerazione di quanto sopra, scopo del presente contributo è quello di soffermarsi, senza alcuna pretesa di esaustività, sulle novità introdotte dalle recenti novelle, anche in considerazione del fatto che, ai sensi artt. 2, co. 1, D.lgs. n. 170/2021 e 173/2021, queste ultime sono efficaci dal 1° gennaio 2022 e trovano applicazione a tutti i contratti conclusi successivamente a tale data.

1        Ambito di applicazione delle nuove modifiche al codice del consumo

L’art. 128, Cod. Cons. prevede che le nuove disposizioni in tema di difetti di conformità e garanzie convenzionali trovino applicazione ai contratti di vendita, permuta, somministrazione, appalto, d’opera e a tutti i contratti aventi ad oggetto la fornitura di “beni” nuovi, anche da fabbricare e da produrre, e usati (comma 5). In considerazione delle menzionate esigenze sottese all’incentivazione del mercato unico digitale, l’art. 128, lett. e), Codice del Consumo, ricomprende nella nozione di “bene”

  • sulla falsariga di quanto previsto nella versione precedente, qualsiasi bene mobile materiale anche da assemblare, nonché l’acqua, il gas e l’energia elettrica quando sono confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata;
  • qualsiasi bene mobile materiale che incorpora, o è interconnesso con, un contenuto digitale o un servizio digitale in modo tale che la mancanza di detto contenuto o servizio impedirebbe lo svolgimento delle funzioni proprie del bene (c.d. “bene con elementi digitali”);
  • gli animali vivi;
  • contenuti [3] e servizi digitali [4].

Al di là della vendita di animali vivi – mercato che, in ogni caso, ha un giro di affari di oltre 2,5 miliardi di euro – il richiamo ai contenuti e ai servizi digitali consente oggi di ricomprendere all’interno della normativa de qua beni e servizi che, prima delle novelle in commento, erano assoggettati alla disciplina consumeristica solo in funzione delle modalità di scambio e vendita degli stessi.

Il comma 3, tuttavia, chiarisce che le previsioni del Capo I non trovano applicazione ai contratti di fornitura di un contenuto o di un servizio digitale, i quali sono disciplinati dalle disposizioni del nuovo Capo I-bis. Ciononostante, le previsioni del Capo I continuano a trovare applicazione “ai contenuti digitali o ai servizi digitali incorporati o interconnessi con beni, ai sensi del comma 2, lettera e), numero 2), i quali sono forniti con il bene inforza del contratto di vendita, indipendentemente dal fatto che i predetti contenuti digitali o servizi digitali siano forniti dal venditore o da terzi”. In caso di dubbio, qualora la fornitura del contenuto o servizio digitale incorporato o interconnesso faccia parte del contratto di vendita, la norma presume che tale fornitura sia ricompresa in tale ultimo contratto [5], con conseguente applicazione delle previsioni del Capo I.

Non si registrano, invece, particolari novità rispetto alle categorie di beni esclusi dalla normativa in commento (comma 4), ossia: (i) supporti materiali che fungono da vettore del contenuto digitale e (ii) beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti da Autorità giudiziarie, anche mediante delega ai notai o secondo altre modalità previste dalla legge [6].

Quanto, invece, alle disposizioni di attuazione della Direttiva (UE) 2019/770, esse sono state trasposte, come anticipato, nel nuovo Capo I-bis e, in particolare, negli artt. 135-octies e ss., Cod. Cons. nell’intento di accomunare e, allo stesso tempo, differenziare e ampliare i rimedi esperibili dal consumatore nell’ipotesi in cui quest’ultimo acquistasse contenuti o servizi digitali che presentino difetti di conformità, ovvero in caso di mancata fornitura o modifica degli stessi [7].

L’art. 135-octies, comma 4, Cod. Cons chiarisce che le previsioni del Capo I-bis trovano applicazione non solo in caso di controprestazioni tradizionali (espressione del rapporto “prestazione – controprestazione onerosa”), ma anche nel caso in cui i contenuti o i servizi digitali fossero forniti al consumatore a fronte della messa a disposizione, da parte di quest’ultimo, dei propri dati personali [8].

Il Legislatore, pertanto, ha preso definitivamente atto che, ai fini della fornitura di un servizio o contenuto digitale, al consumatore può essere richiesta, quale contropartita, la messa a disposizione di dati personali nell’ambito di servizi spesso presentati come “gratuiti”. Tale presa di posizione, tuttavia, alimenta l’annoso dissidio sull’intrasmissibilità dei dati personali, attesa la loro collocazione tra i diritti della personalità (art. 8, CEDU) [9], con conseguente indisponibilità, irrinunciabilità e imprescrittibilità degli stessi.

Detta visione “personalistica” sembra però ignorare gli esiti economici e le dinamiche sottese allo scambio dei dati personali, nonché dimentica come, soprattutto nell’ambito delle economie moderne e di mercato, la norma, oltre ad essere interpretata, deve essere calata nel caso concreto onde garantire, in un quadro di diritto positivo, un equo contemperamento degli interessi contrapposti delle parti. In altre parole, tale visione sconta una certa “staticità” e miopia rispetto alla realtà di mercato, circostanza che impone di individuare adeguati meccanismi che contemperino, da un lato, l’autonomia negoziale e, dall’altro, la salvaguardia dei diritti delle parti, anche attraverso l’utilizzo delle categorie proprie dell’analisi economica del diritto.

Senza volersi addentrarsi oltre nel predetto dibattito [10], occorre segnalare in questa sede che è la stessa Direttiva (UE) 2019/770 ad affrontare, seppur debolmente, il paradosso sotteso alla messa a disposizione di dati personali per l’ottenimento di servizi e contenuti digitali [11]. Come chiarito dal Considerando n. 24, infatti, l’art. 135-octies, comma 4, Cod. Cons rinverrebbe la propriaratio non tanto nella necessità di legittimare la “mercificazione” dei dati personali, bensì di dotare i consumatori di adeguate garanzie contrattuali nell’ambito di modelli commerciali che postulano il conferimento di dati personali a fronte della (presunta) “gratuità” del servizio. Tale conclusione sembrerebbe avvalorata anche dalla definizione di “prezzo” contenuta al comma 2 di detta previsione, il che confermerebbe come la messa a disposizione dei dati personali non avrebbe i caratteri della patrimonialità, bensì sarebbe caratterizzata dalla presenza di un atto dispositivo “gratuito” di dati utilizzati anche per scopi diversi dall’esecuzione del contratto [12].

L’art. 135-novies, Cod. Cons. individua tassativamente le ipotesi cui le previsioni del Capo I-bis non trovano applicazione:

  • contenuti o servizi digitali incorporati o interconnessi in beni con elementi digitali forniti, dal venditore o da un terzo, unitamente al bene. In caso di dubbio, la norma presume che la fornitura del contenuto o servizio digitale incorporato o interconnesso sia ricompresa nel contratto di vendita del bene principale;
  • contratti aventi ad oggetto: (a) la fornitura di servizi diversi da quelli digitali, indipendentemente dal fatto che il professionista ricorra, o meno, a forme o mezzi digitali per ottenere un determinato risultato, consegnarlo o trasmetterlo al consumatore (es: contratti di fornitura di servizi professionali, come servizi di traduzione, di architettura, legali o altri servizi di consulenza professionale); (b) servizi di comunicazione elettronica (con eccezione dei servizi di comunicazioni interpersonale senza numero, quali i servizi di posta elettronica e di messaggistica online basati sul web); (c) servizi di assistenza sanitaria; (d) servizi di gioco d’azzardo; (e) servizi finanziari (es. di natura bancaria, creditizia, assicurativa, pensionistici individuali, di investimento o di pagamento); (f) software offerto sulla base di una licenza libera e aperta, in cui il consumatore mette a disposizione i propri dati personali al solo fine di consentire di migliorare la sicurezza, la compatibilità o l’interoperabilità dello stesso; (g) messa a disposizione di un contenuto digitale con mezzi diversi dalla trasmissione di segnale quale parte di uno spettacolo o di un evento o (h) da parte di enti pubblici ai sensi della Direttiva (UE) 2019/1024 sul riuso delle informazioni;
  • nell’ambito dei c.d. contratti a pacchetto (in cui un singolo contratto comprende elementi di fornitura di contenuto o di un servizio digitale ed elementi relativi alla fornitura di altri beni o servizi), le disposizioni del Capo I-bis trovano applicazione limitatamente agli elementi delle forniture che riguardo il contenuto o il servizio digitale (comma 3) [13], mentre gli altri sono coperti dalle ordinarie garanzie previste agli artt. 128 e ss., Cod. Cons..

2        Garanzia di conformità e ulteriori tutele in favore del consumatore

Come anticipato, le previsioni in tema di garanzia di conformità si distinguono a seconda che si tratti, o meno, di servizi e contenuti digitali.

Rispetto ai beni diversi dai contenuti e servizi digitali, le nuove previsioni ribadiscono che, al di là degli ordinari obblighi (anche di natura informativa) posti in capo al professionista, la principale obbligazione di quest’ultimo è consegnare beni conformi al contratto stipulato con il consumatore [14].

Rispetto alla normativa previgente, gli artt. 129 e 135-decies, Cod. Cons. suddividono i requisiti di conformità in criteri soggettivi (comma 2) e oggettivi (comma 3), la cui sussistenza è richiesta in via cumulativa. A tale riguardo, mentre i requisiti soggettivi sono funzionali a quanto convenuto tra venditore e consumatore nel contratto (es. rispetto delle funzionalità promesse, rispetto dei requisiti di interoperabilità dichiarati, ecc.), i requisiti oggettivi coincidono con quelli previsti all’interno delle Direttive (UE) 2019/770 e 2019/771, oggi trasposti nel Codice del Consumo (es. finalità per la quale sono abitualmente utilizzati beni dello stesso tipo, rispetto delle caratteristiche di continuità, interoperabilità e sicurezza, ecc.).

Le nuove previsioni, inoltre, individuano i casi in cui il professionista non è vincolato alle dichiarazioni pubbliche rilasciate rispetto a uno specifico bene (art. 130, comma 1), nonché specificano, in linea con la normativa previgente, che il difetto di conformità può derivare anche dall’errata installazione del bene (art. 131, Cod. Cons.) o dalla sua errata integrazione nell’ambiente digitale del consumatore (art. 135-duodecies, Cod. Cons.) nel caso in cui ricorresse almeno una delle seguenti condizioni: (a) l’installazione o integrazione sono previste nel contratto ed è stata eseguita dal venditore o sotto la sua responsabilità; (b) l’installazione o l’integrazione sono a carico ed effettuate dal consumatore e, tuttavia, la loro erroneità dipende da carenze nelle istruzioni fornite a quest’ultimo.

Di particolare interesse, inoltre, i meccanismi connessi alla garanzia dei beni con elementi digitali e dei servizi e contenuti digitali (art. 130, commi 2-4 e art. 135-undecies, commi 2-4, Cod. Cons.), in cui viene espressamente previsto l’obbligo, a carico del professionista, di tenere informato il consumatore circa gli aggiornamenti, anche di sicurezza, necessari per garantire la conformità del bene nel tempo; in caso di mancata installazione e al ricorrere delle ulteriori condizioni previste dalle richiamate disposizioni (tra cui, l’onere di informatore il consumatore circa le conseguenze connesse alla mancata installazione degli aggiornamenti), il difetto sarà imputabile al consumatore, con conseguente liberazione del professionista da eventuali responsabilità [15].

Laddove il bene non soddisfi i requisiti di conformità sopra indicati, per andare esente da responsabilità (art. 131, comma 4 e art. 135-undecies, comma 4, Cod. Cons.) il professionista sarà tenuto a provare di aver informato il consumatore, ma anche che quest’ultimo abbia “espressamente e separatamente accettato tale scostamento al momento della conclusione del contratto di vendita”. Si tratta di una novità con indubbi riflessi pratici, in quanto impone alle organizzazioni non solo di rivedere i propri processi di sottoscrizione dei contratti (soprattutto di quelli a distanza), ma anche di garantirne la tracciabilità, la successiva dimostrabilità e non ripudiabilità (si pensi, ad esempio, alla sottoscrizione di specifiche clausole o alla certificazione dei “flag” tramite firma digitale).

La messa a disposizione, da parte del consumatore, dei propri dati personali nell’ambito della fornitura sembra avere importanti ripercussioni anche in tema di garanzia di conformità. In tal senso, riveste particolare interesse il Considerando n. 48 della Direttiva (UE) 2019/770, secondo cui “è possibile considerare, in funzione delle circostanze del caso, che gli elementi che determinano un difetto di conformità rispetto ai requisiti di cui al regolamento (UE) 2016/679, inclusi principi fondamentali quali i requisiti in materia di minimizzazione dei dati, protezione dei dati fin dalla progettazione e protezione dei dati per impostazione predefinita, costituiscano un difetto di conformità del contenuto digitale o del servizio digitale rispetto ai requisiti di conformità soggettivi od oggettivi di cui alla presente direttiva”.

Tuttavia, come rilevato da attenta dottrina [16], tale previsione non è stata riproposta né all’interno della Direttiva, né della novella. Ciononostante, un’interpretazione estensiva sembrerebbe comunque consentire di sostenere che la violazione degli obblighi privacy può essere considerata alla stregua di un difetto di conformità, come peraltro confermato dagli esempi citati nel predetto considerando [17]. Rinviando alle più ampie e approfondite argomentazioni condotte dalla richiamata dottrina – a cui non vi è ragione di discostarsi – il professionista, anche nella sua qualità di titolare del trattamento, assume uno specifico obbligo contrattuale nei confronti del consumatore, la cui violazione determina, inter alia, la facoltà di quest’ultimo di agire per ottenere il risarcimento del danno derivante da inadempimento ex art. 1218 c.c. e rispetto a cui trovano applicazione le più favorevoli previsioni in tema di onere della prova previste dalla normativa consumeristica (su cui, v. infra).

Quanto, infine, alle azioni esperibili dal consumatore (art. 135-bis e art. 135-octiesdecies, Cod. Cons.), le novelle confermano i tradizionali rimedi ripristinatori, restitutori e caducatori previsti dalla normativa previgente.

In particolare, il consumatore ha alternativamente diritto al ripristino della conformità del bene (art. 135-bis e art. 135-octiesdecies, Cod. Cons.) [18], a ricevere una riduzione proporzionale del prezzo pagato (art. 135-ter, Cod. Cons) o, salvo i casi di difetti di lieve entità, alla risoluzione del contratto (art. 135-quater e art. 135-noviesdecies, Cod. Cons.) [19]. L’art. 135-bis, ult. comma, Cod. Cons., infine, attribuisce al consumatore un diritto di ritenzione collegato alla mancata esecuzione, da parte del professionista, degli obblighi allo stesso imputabili in caso di difetto di conformità, fatte comunque salve le previsioni in materia di eccezione di inadempimento (art. 1460, c.c.) e il concorso del fatto del consumatore (si pensi, ad esempio, ad eventuali richieste di riparazione senza che il consumatore invii il bene al professionista) [20].

3        Osservazioni in tema di riparto dell’onere della prova

Gli artt. 135 e 135-sexiesdecies, Cod. Cons., stabiliscono rispettivamente che:

  • salvo prova contraria, i difetti di conformità che si manifestano entro un anno (e non più sei mesi) dalla consegna si presumono come già sussistenti a tale data. Tuttavia, in caso di beni con elementi digitali per cui è prevista una fornitura continuativa nel tempo, grava sul professionista l’onere di dimostrare la conformità del bene consegnato, nell’ipotesi in cui i vizi si siano manifestati entro due anni della consegna (art. 133, comma 2, Cod. Cons.). In caso di beni usati, invece, tale termine può essere ridotto a un anno;
  • in caso di servizi e contenuti digitali, invece, il professionista è tenuto a provare di averli consegnati al consumatore conformemente a quanto previsto dall’art. 135-decies, Cod. Cons, nonché di fornire la prova liberatoria dei vizi manifestatisi entro un anno dalla fornitura (art. 135-quaterdecies, comma 2, Cod. Cons.) o durante l’intero periodo di fornitura (art. 135-quaterdecies, comma 5, Cod. Cons.).

Quanto sopra si pone in continuità sia con la normativa previgente, sia con la recente evoluzione giurisprudenziale [21]. Il consumatore, pertanto, sarà tenuto a fornire esclusivamente la prova dell’esatto inadempimento professionista (i.e. che il difetto fosse presente ab origine), mentre spetterà a quest’ultimo dimostrare, attraverso gli ordinari mezzi di prova, la conformità dei beni o servizi oggetto di fornitura.

Rispetto all’azione diretta a far accertare i difetti di conformità, è stato eliminato l’obbligo del consumatore di denunciare tali vizi entro il termine decadenziale di due mesi dalla scoperta. Viene confermato, invece, il termine prescrizionale pari a ventisei mesi previsti per l’azione diretta a far accertare il difetto di conformità, ove non dolosamente occultato, decorrenti rispettivamente, per i beni, dalla consegna e, per le forniture continuative di beni con elementi digitali, servizi e contenuti digitali, dall’ultimo atto di fornitura. Trattandosi di un termine speciale di prescrizione, una volta spirato, torna a trovare applicazione la disciplina generale in tema di onere della prova ex art. 2697, c.c. [22].

4        Conclusioni

La portata innovativa delle nuove previsioni inserite nel Codice del Consumo impone alle imprese operanti nel mercato B2C di condurre un assessment sulle proprie condizioni di vendita, soprattutto nel caso in cui la fornitura trovi fondamento nella messa a disposizione, da parte del consumatore, dei propri dati personali.

Rispetto a quest’ultimo punto, spetterà ancora una volta all’interprete dissipare i dubbi interpretativi scaturenti dalle interrelazioni tra diritto dei consumatori e diritto alla privacy, nonché dalla necessità di bilanciare interessi che, seppur contrapporsi, sembrano sempre più implicarsi vicendevolmente.


[1] Tale Direttiva abroga integralmente la Direttiva 1999/44/CE in tema di vendite e garanzie nei beni di consumo.

[2] V. COM(2018) 183 dell’11 aprile 2018 – Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio e al Comitato Economico e Sociale Europeo, Un “New Deal” per i consumatori.

[3] Per “Contenuto digitale” devono intendersi (artt. 128, comma 2, lett. f. e art. 135-octies, comma 2, lett. a.) “i dati prodotti e forniti in formato digitale

[4] Per “Servizio digitale” si intende (artt. 128, comma 2, lett. g. e art. 135-octies, comma 2, lett. b.) “1) un servizio che consente al consumatore di creare, trasformare, memorizzare i dati o di accedervi in formato digitale; oppure 2) un servizio che consente la condivisione di dati in formato digitale caricati o creati dal consumatore o da altri utenti di tale servizio o qualsiasi altra interazione con tali dati”.

[5] Si tratta, a ben vedere, di una presunzione legale assoluta. A parere di chi scrive, infatti, ragioni di carattere sistematico – in quanto, è lo stesso legislatore a specificare, in altre parti della novella, quando è ammessa la prova contraria (v. art. 135, comma 1, Cod. Cons.) – e il tenore letterale della disposizione sembrano consentire di classificare la presunzione de qua quale presunzione iuris et de iure, essendo sufficiente il fatto-base (dubbio sulla ricomprensione dell’elemento digitale nell’ambito del contratto di vendita) per determinare la produzione dell’effetto ricollegato al fatto presunto.

[6] Considerata la natura di tale previsione, tali esclusioni sembrano costituire un numerus clausus, per cui è possibile operare solamente eventuali operazioni di natura estensiva, ma non l’inserimento di nuove categorie di beni, procedure o elementi cui le previsioni del Capo I non trovano applicazione.

[7] Seppur il legislatore sembra riconoscere che, in linea di principio, la commercializzazione di contenuti e servizi digitali avvenga per mezzo di contratti di fornitura (comma 1), per evitare vuoti di tutela ha assoggettato a tali previsioni anche tutti i contratti onerosi che implicano la messa a disposizione di tali beni al consumatore (art. 135-octies, comma 3, Cod. Cons.).

[8] I commi 5 e 6, inoltre, chiariscono che le suddette previsioni trovano applicazione anche rispetto ai servizi e contenuti digitali sviluppati su richiesta del consumatore e, fatte salve le esclusioni degli artt. 135-decies e 135-septiesdecies, Cod. Cons, anche ai supporti materiali che fungono esclusivamente da vettori del contenuto digitale.

[9] Sul tema, v. anche Opinion no. 4/2017 on the Proposal for a Directive on certain aspects concerning contracts for the supply of digital content dell’EDPS (European Data Protection Supervisor).

[10] Sul tema, B. Parenzo, “Sull’importanza del dire le cose come stanno: ovvero, sul perché della necessità di riconoscere la natura patrimoniale dei dati personali e l’esistenza di uno scambio sotteso ai c.d. servizi digitali “gratuiti”, in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.3, 1.09.2021, pag. 1457; G. D’Ippolito, “Commercializzazione dei dati personali: il dato personale tra approccio morale e negoziale”, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica (II), fasc.3, 1.06.2020, pag. 634; A. Addante, “La circolazione negoziale dei dati personali nei contratti di fornitura di contenuti e servizi digitali”, in Giustizia Civile, fasc.4, 1.04.2020, pag. 889; B. Parenzo, “Dati personali come moneta. Note a margine della sentenza TAR Lazio n. 260/2020”, in Jus civile, 2020, 1364; C. Camardi, “Prime osservazioni sulla Direttiva (UE) 2019/770 sui contratti per la fornitura di contenuti e servizi digitali. Operazioni di consumo e circolazione di dati personali”, in Giustizia Civile, fasc.3, 1.03.2019, pag. 499.

[11] Si veda in tal senso, Corte d’Appello de L’Aquila, 9 novembre 2021, n. 1659; Cons. St., Sez. VI, 9 marzo 2021 n. 2631; TAR Lazio, Sez. I, 10 gennaio 2020, nn. 260 e 261

[12] Le previsioni del Capo I-bis, infatti, non trovano applicazione nell’ipotesi in cui il trattamento dei dati sia esclusivamente funzionale alla fornitura del contenuto digitale o per consentire l’assolvimento di obblighi di legge del professionista (art. 135-octies, comma 4, seconda parte, Cod. Cons.).

[13] Ai sensi dell’art. 135-vicies semel, tale previsione non trova applicazione se il pacchetto di servizi o di servizi e apparecchiature è disciplinato dal Codice delle comunicazioni elettroniche e include alternativamente uno dei seguenti elementi: (i) un servizio di comunicazione elettronica a disposizione del pubblico che fornisce accesso a Internet, ovvero connettività a praticamente tutti i punti finali di Internet, a prescindere dalla tecnologia di rete e dalle apparecchiature terminali utilizzate; (ii) un servizio di comunicazione interpersonale che si connette a risorse di numerazione assegnate pubblicamente – ossia uno o più numeri che figurano in un piano di numerazione nazionale o internazionale – o consente la comunicazione con uno o più numeri che figurano in un piano di numerazione nazionale o internazionale

[14] Nel caso di specie, la nozione di “vendita” è da intendersi come “qualsiasi contratto in base al quale il venditore trasferisce o si impegna a trasferire la proprietà di beni al consumatore e il consumatore ne paga o si impegna a pagare il prezzo” (art. 128, comma 2, lett. a, Cod. Cons.).

[15] Nell’ipotesi in cui il contratto prevedesse una fornitura continuativa e per un tempo determinato, il dovere del professionista di comunicare gli aggiornamenti al consumatore si estende all’intera durata di detto periodo. Il professionista, inoltre, è tenuto a fornire contenuti e servizi digitali nella versione più recente disponibile al momento della conclusione del contratto, fatto comunque salvo quanto stabilito tra le parti in tal senso (art. 135-undecies, comma 5, Cod. Cons.).

[16] Si rinvia a C. Camardi, “Prime osservazioni sulla Direttiva (UE) 2019/770 sui contratti per la fornitura di contenuti e servizi digitali. Operazioni di consumo e circolazione di dati personali”, in Giustizia Civile, fasc.3, 1.03.2019, pag. 499

[17] Un “esempio potrebbe essere rappresentato dai casi in cui un operatore economico assume in maniera esplicita un obbligo contrattuale, o il contratto può essere interpretato in tal senso, che è altresì connesso agli obblighi dell’operatore economico di cui al regolamento (UE) 2016/679. In tal caso, l’impegno contrattuale può essere inserito tra i requisiti di conformità soggettivi. Un secondo esempio potrebbe essere rappresentato dai casi in cui la mancata conformità agli obblighi di cui al regolamento (UE) 2016/679 potrebbe allo stesso tempo rendere il contenuto digitale o il servizio digitale inadeguato alla sua finalità prevista e costituire pertanto un difetto di conformità ai requisiti di conformità oggettivi, che prevedono che il contenuto digitale o il servizio digitale sia adeguato alle finalità per le quali è abitualmente utilizzato un contenuto digitale o un servizio digitale dello stesso tipo”. A tale riguardo, si pensi, ad esempio, a quanto accade nell’ambito della contrattualistica utilizzata per la vendita a distanza, in cui, sovente, i termini di utilizzo del servizio o le condizioni generali di contratto richiamano, tra gli obblighi o gli impegni del professionista, quello di trattare i dati nel rispetto della normativa applicabile e di quanto indicato nell’informativa privacy –

[18] Non può che accogliersi con favore il chiarimento secondo cui le spese necessarie per mettere a disposizione il bene per la riparazione o sostituzione sono a carico del venditore, anche qualora quest’ultimo necessitasse di essere rimosso e reinstallato (all’art. 135-ter, comma 2 e 3, Cod. Cons.). In ogni caso, il consumatore non è tenuto a pagare per il normale uso del bene sostituito nel periodo precedente la sostituzione (comma 4).

[19] Quanto alla risoluzione del contratto, rivestono un particolare interesse l’art. 135-noviesdecies, commi 3-6, Cod. Cons. In particolare, nell’ipotesi in cui il consumatore optasse per la risoluzione del contratto, il professionista è tenuto ad astenersi dall’utilizzare i dati forniti o creati dal consumatore nell’ambito dell’utilizzo del contenuto o del servizio digitale, fatto comunque salvo il rispetto delle previsioni del GDPR e della normativa nazionale di attuazione e che i dati: (a) siano privi di utilità; (b) si riferiscano solamente all’attività del consumatore nell’utilizzo del contenuto digitale o del servizio digitale fornito dal professionista; (c) siano stati oggetto di un processo di aggregazione reversibile solo attraverso l’impiego di mezzo particolari; o (d) siano stati generati congiuntamente dal consumatore e altre persone, e altri consumatori possano continuare a utilizzare il contenuto. Rispetto, invece, a quanto generato dal consumatore, ai sensi del comma 5 il professionista è tenuto a restituirgli quanto dallo stesso creato, senza impedimenti, in formato di uso comune e leggibile da dispositivo automatico.

[20] È stato altresì confermato il diritto del professionista di agire, entro un anno dal ripristino della conformità, in regresso nei confronti dei soggetti responsabili al fine di ottenere la reintegrazione di quanto prestato al consumatore (artt. 134 e 136-quindecies, Cod. Cons.).

[21] Ex multis, Cass. Civ., Sez. III, 2 dicembre 2021, n. 38080; Cass. Civ., Sez. VI, 27 settembre 2021, n. 26158; Trib. Ravenna, Sez. I, 22 settembre 2021, n. 668; Trib. Perugia, Sez. II, 22 aprile 2021, n. 623; Cass. Civ., Sez. II, 30 giugno 2020, n. 13148; Cass. Civ., SS.UU., 3 maggio 2019, n. 11748.

[22] Sul tema, v. Cass. Civ., Sez. II, 30 giugno 2020, n. 13148.


Autore:

Carlo A.M. Corazzini

 

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