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Posso inviare una comunicazione per richiedere il consenso al marketing a chi non me l’ha fornito?

di Alessandro Amoroso


Una delle domande che spesso viene fatta a chi si occupi di protezione dei dati personali è: “posso contattare una persona per chiedergli se vuole fornirmi il consenso a ricevere comunicazioni commerciali o promozionali?

La questione è ascesa nuovamente all’attenzione dopo la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 11019/2021[1].

Con la sentenza citata, infatti, la suprema Corte si è soffermata sul tema della liceità del primo contatto al fine di richiedere il consenso all’invio di comunicazioni commerciali o promozionali, concludendo – in linea con il più volte ribadito orientamento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali – che “una comunicazione telefonica finalizzata ad ottenere il consenso per fini di marketing, da chi l’abbia precedentemente negato, è essa stessa una ‘comunicazione commerciale‘ ”, e dunque non può essere effettuata.

Per chi voglia approfondire, la vicenda sorgeva a seguito di una campagna di contatto telefonico (denominata “Recupero Consenso”) con la quale Telecom Italia S.p.A. (“Telecom”), nel 2015, aveva provato a ottenere il consenso marketing di interessati che non avevano mai autorizzato la ricezione di tali chiamate o avevano revocato un consenso precedentemente espresso. Il Garante, con il provvedimento del 26 giugno 2016[2], aveva contestato a Telecom l’illiceità di tale trattamento vietando altresì l’ulteriore trattamento dei dati personali riferiti alle utenze oggetto della campagna, incluso il trattamento dei dati personali di coloro che, a seguito di tale campagna, avessero prestato il proprio consenso.

Telecom, dunque, impugnava tale decisione avanti al Tribunale di Milano, il quale con la pronuncia del 5 maggio 2017, riteneva legittimo il divieto emesso dal Garante.

Avverso tale pronuncia, Telecom impugnava in Cassazione, lamentando che una campagna telefonica per ottenere il consenso per finalità commerciali, da parte di chi tale consenso l’avesse già negato, non dovesse essere ricondotto alla nozione di comunicazione commerciale.

In ultimo, come anticipato, la Corte di Cassazione ha respinto tale ricorso, rigettando tale doglianza e confermando il provvedimento del Garante con la motivazione, anticipata sopra, in base alla quale tale contatto deve comunque essere considerata una comunicazione commerciale (e dunque rientrante nell’articolo 130 del D. Lgs. 196/2003 (Codice Privacy)).

La sentenza è particolarmente interessante perché, mentre da una parte conferma un’impostazione numerose volte espressa dal Garante[3], dall’altra, si pone in antitesi con l’orientamento posto dal Tribunale di Roma nella sentenza 10789/2019, in cui tale giudice, in un caso simile, aveva accertato la legittimità della scelta di Wind telecomunicazioni S.p.A. di inviare messaggi sms, in assenza di consenso, diretti ad aggiornare le preferenze dei propri clienti (sia nuovi che storici) in materia di trattamento dei dati personali.

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La risposta è quindi no. In altre parole, non si può contattare una persona per chiedergli un consenso, senza che vi sia il consenso anche per il primo contatto. Inoltre, anche in conformità a quanto stabilito dall’articolo 2-decies[4] del D.Lgs. 196/2003, si chiarisce che i consensi eventualmente acquisiti nel corso di una campagna telemarketing illecita sono a loro volta invalidi, e pertanto inutilizzabili (proprio in quanto frutto di un trattamento illecito).

In che modo è possibile quindi chiedere il consenso a chi non ce l’ha fornito?

La risposta più ovvia è che debbano essere gli interessati stessi a porre in essere comportamenti volti a fornire tale consenso. Questa è, d’altronde, anche l’indicazione fornita dalla Corte di Cassazione nella sentenza citata, in cui si precisa che: “gli interessati ben possono mutare opinione rispetto al trattamento dei loro dati personali, revocando il dissenso già espresso, ma nell’ambito di iniziative che li vedano protagonisti”, e dunque per esempio contattando essi stessi il call center o nel contesto di richieste di informazioni.

Molto più interessante però, sebbene da valutare con attenzione in relazione alla possibile liceità anche in Italia, invece, un’indicazione inserita dall’Autorità per la protezione dei dati personali del Regno Unito (Information Commissioner’s Office) nelle proprie Linee Guida sul marketing[5], in cui si specificava che, purché sia posta notevole attenzione alle modalità, può essere inserita una nota che ricordi di poter modificare i propri consensi marketing all’interno di una comunicazione che sarebbe inviata ugualmente per altre finalità non commerciali/promozionali, purché tale nota abbia un ruolo accessorio e marginale rispetto alla comunicazione stessa.

Di certo, però, è stato confermato ancora una volta che per l’invio di una comunicazione volta a richiedere il consenso occorre il consenso anche per il primo contatto.


[1] Sentenza 11019 del 22 aprile 2021, Prima Sezione Civile Corte Suprema di Cassazione (Telecom Italia S.p.A. contro Garante per la protezione dei dati personali).

[2] Provvedimento 275 del 22 giugno 2016, disponibile su: https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/5255159

[3] Ex multis par. 2.5 Linee guida in materia di attività promozionale e contrasto allo spam.

[4] Art. 2-decies D.lgs. 196/2003 (Inutilizzabilità dei dati): “I dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati, salvo quanto previsto dall’articolo 160-bis

[5] Par. 194 Ico Guidelines on Direct Marketing.


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