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La filosofia come strumento per disegnare il progetto umano nella società dell’informazione 

Brevi note a Luciano Floridi, Pensare l’infosfera – La filosofia come design concettuale, Raffaello Cortina ed., Milano, 2020, trad. Massimo Durante

di Manuela Bianchi


Lo scorso febbraio ha visto la luce, per i tipi di Raffaello Cortina Editore, Pensare l’infosfera – la filosofia come design concettuale, opera del Prof. Luciano Floridi, studioso noto per la sua ricerca dedicata alla filosofia e all’etica dell’informazione nell’era digitale[1].

Il testo italiano è la traduzione in forma riassuntiva di The Logic of Information, pubblicato nel 2019 dalla Oxford University Press, terzo volume di una tetralogia dedicata alla filosofia dell’informazione e il cui quarto volume è in corso di stesura. In Italia, nel 2017, Raffaello Cortina Editore aveva già dato alle stampe La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo.

Proprio da questo lavoro prende la luce il testo oggetto di analisi di questo contributo. In La quarta rivoluzione, Floridi, tra l’altro, spiega che nel corso dei secoli l’umanità aveva già vissuto tre rivoluzioni scientifiche fondamentali, che hanno intrinsecamente modificato il modo in cui concepiamo noi stessi, quale risultato di una nuova visione del mondo esterno. La prima rivoluzione è stata quella copernicana, che ha tolto il predominio della Terra, e quindi dell’umanità, dal centro dell’universo a favore del Sole. La seconda è stata quella darwiniana che, dimostrando che tutte le specie viventi si sono evolute nei millenni a partire da progenitori comuni, ha tolto all’umanità la sua centralità biologica. C’è poi stata la rivoluzione portata dalla psicanalisi freudiana la quale, rivelando che anche la mente è inconscia, ha dato un altro scossone alla comprensione di noi stessi, confermato e approfondito successivamente e ancora oggi dalle scienze cognitive e dalle neuroscienze.

Dalla seconda metà del secolo scorso, spinta dall’informatica e dalle tecnologie digitali, si è avviata la quarta rivoluzione, nel pieno della quale stiamo vivendo e che l’Autore esamina anche in questo scritto per cercare di fornire alcune risposte, in particolare su che cosa è necessario fare e come approcciare l’ambiente (cd. infosfera) nella quale agiamo quotidianamente. Siamo passati da una concezione di umanità composta da entità isolate, a vederci come “agenti informazionali interconnessi, che condividono con altri agenti biologici e artefatti ingegneristici un ambiente globale, costituito in ultima istanza da informazioni, che ho chiamato infosfera” (pag. 15). Ne deriva che la nostra intelligenza deve confrontarsi quotidianamente da un lato con artefatti ingegneristici creati dalle tecnologie digitali e ben adatti all’infosfera, dall’altro con la manipolabilità delle nostre scelte, guidate da “altro” che talvolta sembra quasi conoscerci meglio di noi stessi, o comunque in grado di anticipare le nostre scelte e i nostri desideri. A ciò si aggiunga che ormai viviamo onlife[2], che non esiste più una vita fuori da una connessione digitale, quindi ogni indagine deve essere fatta tenendo conto della commistione tra aspetto fisico e aspetto digitale della società. È evidente che in una situazione come questa non è possibile navigare a vista e, al tempo stesso, abbiamo un’opportunità senza precedenti: usare la filosofia per dare un senso al mondo e ai cambiamenti che stiamo vivendo e che vivremo nel futuro. Per fare questo, dobbiamo “riavviare” la filosofia, che è in ritardo rispetto ai cambiamenti radicali e repentini della società. Lo scopo dell’Autore è quindi un’indagine sulla filosofia e sul suo posto nel mondo, riportando questa disciplina ai suoi livelli più alti perché solo in questo modo potrà dare le risposte per affrontare le difficoltà di fronte a cui siamo posti quotidianamente.

Per fare questo, Floridi risponde inizialmente a due quesiti: che cos’è una domanda filosofica e che cos’è una risposta filosofica, quindi si concentra sul concetto di filosofia come design concettuale e, da ultimo, riprende i punti focali sviluppati nei capitoli precedenti, applicandoli a cinque lezioni filosofiche.

Alla base di tutto c’è il saper porre la domanda giusta nel modo esatto, affinché produca risposte convincenti. In mancanza di queste caratteristiche, la filosofia è sterile e inutile. Ma che cosa sono le domande filosofiche oggi? Senza entrare in questa sede nella disamina approfondita dei vari Autori presi in considerazione da Floridi, quel che appare maggiormente rivoluzionario nel testo in esame è l’applicazione per analogia della teoria computazionale di Alan Turing allo studio dei problemi che la società pone. Grazie alla Macchina di Turing, infatti, è stato possibile “investigare la natura dei problemi dal punto di vista della loro complessità, intesa come il livello di difficoltà richiesto per la loro soluzione e misurata in termini delle risorse necessarie a conseguirla” (pag. 22). Da questa premessa si sviluppa un ragionamento che porta a mano a mano e per obiezioni superate a espandere la definizione di domanda filosofica, fino a raggiungere quella finale: “le domande filosofiche sono in linea di principio domande aperte, fondamentali (ultime) ma non assolute, chiuse in relazioni a ulteriori interrogazioni, potenzialmente delimitate da risorse empiriche e logico-matematiche, e che necessitano di risorse noetiche per ricevere risposta al corretto livello di astrazione” (pag. 48). Le domande aperte sono quelle impossibili da affrontare in chiave empirica o logico-matematica, che restano tali anche dopo che gli interlocutori hanno formulato una risposta sulla base di una conoscenza informata, razionale e aperta di mente. Per evitare il rischio che la filosofia si ponga solo domande, diventando autoriflessiva e autoreferenziale, laddove invece sono le risposte a essere importanti, quelle con cui ci si mette veramente a rischio e che possono incidere seriamente sulla società, saper porre le domande giuste si rivela ancor più fondamentale ed è qui che diventa basilare l’aiuto di Turing. Turing ha rivalutato e dato importanza al disaccordo, fondato sulla identificazione, il chiarimento e la condivisione dei Livelli di Astrazione (LdA), che fissano e circoscrivono le domande aperte evitando presupposti differenti che possono solo creare confusione e incomprensione. Ed invero, una cattiva domanda aperta è quella che cerca di evitare, o di oltrepassare, i limiti fissati da ogni rilevante LdA. Riassumendo, la filosofia deve, da sempre, rispondere a domande aperte formulate secondo i presupposti sopra descritti. Solo in questo modo le risposte che vengono date restano aperte a un favorevole disaccordo. In sostanza, la filosofia propone nuove domande aperte o rivede vecchie domande, fornendo nuove risposte.

E allora, che cos’è una risposta filosofica? In primo luogo dobbiamo ricordare che il LdA qualifica il livello al quale un sistema è considerato. Ogni teoria contiene almeno un LdA e un modello di astrazione, che ne distinguono l’impegno ontologico. Sulla base di questo, nell’infosfera le risposte filosofiche alle domande aperte che si pongono sono ontologicamente impegnate dalle tecnologie digitali, che impregnano la nostra quotidianità. Senza scendere nell’analisi prettamente filosofica e concettuale, in questa sede sono gli scenari contemporanei, etici e noetici, con cui dobbiamo confrontarci a divenire di primaria importanza. Per esempio, l’etica dell’informazione si impegna a un LdA di interpretazione della realtà in termini informazionali, con la conseguenza che il modello che ne deriva è costituito da sistemi e processi informazionali. Dobbiamo essere consapevoli che (inter)agiamo in ambienti conformati in modo tecnologico, siamo posti a confronto con un nuovo contesto etico e che le azioni hanno valori e conseguenze morali.

Facciamo l’esempio della pornografia: nella sua forma classica (immagini, film, testi), lo spettatore non è in alcun modo “telepresente”; lo stesso vale anche passando dall’analogico al digitale. Ma quando pensiamo alla nuove forme di pornografia basate sulle ICT che permettono una interazione con lo spettatore (servizi telefonici, chatroom etc.) si assiste a una fusione di pornografia, promiscuità e prostituzione, con presenza interattiva in tempo reale dello spettatore che ora diventa agente a tutti gli effetti. È chiaro che in una situazione del genere siamo obbligati a riconsiderare i nostri assunti etici consolidati.

Altro importante tema è il diritto alla privacy informazionale, inteso come un diritto esclusivo alla proprietà e all’utilizzo delle proprie informazioni. Se teniamo valida la discussione sulla privacy in termini topologici (ovvero di spazio dell’osservato e spazio dell’osservatore), dobbiamo considerare l’argomento secondo due diverse prospettive, in base a come percepiamo la presenza dei soggetti negli spazi. Nel caso di presenza anteriore dell’osservato, l’esempio più evidente è l’accesso illegale/non autorizzato a un sito web o a un database, che rappresenta una intrusione nello spazio (seppure anche digitale) di un soggetto. Questa conclusione diventa problematica se applicata alle situazioni (decisamente maggioritarie) in cui la privacy è esercitata in luoghi pubblici sotto il profilo spaziale, fisico e informazionale. Diversamente dall’ipotesi precedente, qui siamo di fronte a uno spostamento (a insaputa/contro la volontà) dell’osservato nel campo dell’osservatore. Floridi porta l’esempio di quando siamo costretti nostro malgrado ad ascoltare la telefonata di qualcuno seduto accanto a noi in un luogo pubblico (treno, mezzi di trasporto pubblici etc.): ci sentiamo disturbati, non vogliamo ascoltare quella conversazione, ma non possiamo farne a meno. In realtà, non siamo noi a essere violati nella nostra privacy, perché siamo noi che stiamo ascoltando la conversazione dell’altro, il quale però ci sta portando nel suo spazio informazionale, costringendoci a essere telepresenti nel suo spazio, anche contro la nostra volontà. Ne consegue che stiamo vivendo un caso di presenza posteriore imposta, che risulta ugualmente compromettente per la nostra privacy.

Infine, in un’esistenza onlife non possiamo esimerci dal considerare la libertà di costruire le nostre identità personali digitali, strettamente connessa all’idea di autodeterminazione e di autonomia. In una esperienza onlife, infatti, possiamo mostrare chi vorremmo/potremmo essere, presentandoci al nostro meglio. Ma proprio perché viviamo onlife, la nostra storia digitale influenzerà la nostra storia reale.

In conclusione, il metodo dei LdA e del modello di astrazione, basato sull’osservazione di successo, migliora la comprensione dell’esperienza della telepresenza e potrà aiutarci ad affrontare i problemi etici connessi alle problematiche (ma non solo a quelle) sopra individuate, che oggi possono essere senza precedenti e inaspettate.

Per fare tutto ciò, la filosofia deve essere concepita come la forma più elevata di design concettuale; quindi solo una filosofia costruzionista (ovvero una filosofia che impara da quelle discipline, come l’economia e l’informatica, che non solo conoscono, ma anche costruiscono l’oggetto di interesse) sarà capace di elaborare i concetti necessari a migliorare la nostra facoltà di comprensione, aiutandoci a conoscere, costruire e utilizzare l’informazione.

Concludo con le parole di Floridi: “Il mondo stesso ha fortemente bisogno di conoscenza filosofica e di disegnare nuove idee. La filosofia è necessaria per creare le nostre società dell’informazione, per dare forma ai nuovi ambienti digitali in cui milioni di persone trascorrono sempre più tempo e, in ultima istanza, per ripensare ciò che mi piace definire progetto umano” (pag. 141).


[1] Luciano Floridi è professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, dove dirige il Digital Ethics Lab, e chairman del Data Ethics Group dell’Alan Turing Institute, l’istituto britannico per la data science.

[2] Il termine onlife è stato coniato da Floridi per rappresentare l’esperienza che l’uomo vive nelle società iperstoriche dove “non distingue più tra online e offline e addirittura dove non è più ragionevole chiedersi se si è online o offline”. La parola è stata adottata dal progetto Onlife Initiative: concept reengineering for rethinking societal concerns in the digital transition, istituito dal 2011 al 2013 dalla European Commission Directorate General for Communications Networks, Content & Technology (https://it.wikipedia.org/wiki/Onlife).


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