Revenge Porn: analisi sulla ragionevolezza di un intervento legislativo
di Sara Corsi
Premesse
L’obiettivo di questo articolo è analizzare dal punto di vista giuridico il tema del revenge porn online fra adulti. Il nostro ordinamento, infatti, non ha ancora prodotto un dettato normativo a ciò dedicato.
Se è vero che da una parte ci sia chi ritienga superfluo un intervento legislativo in tal senso – poiché con un combinato di fattispecie già esistenti sarebbe possibile arrivare al medesimo risultato – in questo contributo, dopo aver analizzato le ipotesi di reato assimilabili al delicato tema del revenge porn, ci si chiede se sia giunto il momento di elaborare una legge ad hoc.
Tentativi di definizione
Il revenge porn, letteralmente “vendetta del porno”, consiste in un’operazione di diffusione di immagini, video, audio dal contenuto sessuale, senza il consenso protagonista, con qualsivoglia mezzo (online ed offline). Chi diffonde il materiale (da qui in poi il “porn revenger”), spesso è il partner, attuale o precedente, che condivide autoscatti ricevuti in privato (sexting) o materiale di coppia. Lo scopo di chi lo compie è quello di umiliare, vendicarsi o vantarsi. La vittima può essere, non solo contraria e inconsapevole della diffusione, ma persino non cosciente dell’esistenza dei materiali, quando questi sono ottenuti con spy cameras o virus installati nei suoi dispositivi personali. Non di rado si profila l’ipotesi di contenuti sottratti dai cloud di personaggi noti, per trarre profitti ad es. monetizzando dalle visualizzazioni di materiale divenuto virale sul web. Frequenti anche i casi di estorsione, che non si traduce nella sola richiesta di denaro, ma anche in una minaccia di divulgazione (sextortion) magari rivolta a persone care alla vittima, se questa non invia ulteriore materiale “hot”.
Il porn revenger agisce favorito dall’immediatezza delle condivisioni online, dall’anonimato di alcuni canali comunicativi, dalla percezione di deresponsabilizzazione per una condotta attuata “solo” in rete e supportato da altri utenti che fanno richiesta di quei materiali e a loro volta li diffondono. La tragicità della situazione viene aggravata inoltre dall’esistenza di portali web, che sono divenuti veri e propri archivi fotografici, con annesse informazioni e dati personali delle vittime (anche minorenni), che vengono raggiunte e importunate persino nella vita reale.
I danni causati sono indelebili, una sofferenza psicologica inimmaginabile per cui l’80% delle vittime soffrirebbe di stress emozionale severo ed ansia, il 47% di loro avrebbe pensato almeno una volta al suicidio[1]. Tutto questo perché la rete non dimentica e soprattutto odia: spesso infatti il revenge porn è accompagnato da cyber bullismo e hate speech che paradossalmente non è rivolto al carnefice, ma alla vittima, sottoposta ad altre insostenibili umiliazioni con i commenti di rimprovero scritti da estranei.
Responsabilità dei provider nel revenge porn
Per la responsabilità dei provider[2] in generale, si fa riferimento alla direttiva 13/2000 CE recepita con il d.lgs.70/2003, sul commercio elettronico. La normativa solleva gli ISP da un obbligo di sorveglianza preventivo perché troppo gravoso. In caso di indagini i provider sono però obbligati a fornire i dati degli utenti che sono sospettati di commettere illeciti sul web, e ad eliminare su richiesta delle autorità competenti, i contenuti coinvolti per “porre fine alle violazioni commesse” (art. 16).[3] In caso di inadempimento degli obblighi, parte della dottrina e della giurisprudenza, ritiene il provider, responsabile di concorso omissivo dell’illecito penalmente rilevante[4], commesso dall’utente. Al contrario alcuni ipotizzano che si tratti di semplice connivenza poiché ad es. il reato di diffamazione, in cui potrebbe essere inquadrato in parte il revenge porn, è un reato istantaneo, consumato al momento della pubblicazione dei contenuti in rete. Sarebbe pertanto difficile, in assenza di un controllo preventivo, configurare il concorso omissivo. Anzi, in diverse sentenze[5] si è sostenuto proprio che obbligare gli ISP ad uno sbarramento ex ante dei dati, costituirebbe una grave violazione della loro libertà di impresa, per l’eccessivo aggravio di lavoro posto in capo ai provider, lesivo – tra gli altri – del diritto alla libertà di informazione e comunicazione degli utenti e del principio di net neutrality. Insomma, gli ostacoli sarebbero innumerevoli e restano da considerare anche altri interessi coinvolti, prima di predisporre una normativa eccessivamente restrittiva sulla provider liability, che comporti la censura preventiva dei contenuti online[6].
Recenti pronunce[7] sono intervenute per rivisitare l’obbligo di rimozione dei contenuti, estendendone la portata fino all’impedimento di ri-pubblicazione di contenuti simili a quelli già segnalati come violazioni, allo stesso ISP. Tuttavia, restano aperte diverse questioni: ad esempio, come si possa individuare la similarità dei contenuti rispetto a quelli già segnalati, senza incappare in un meccanismo di controllo preventivo. Il caso “madre” di revenge porn in Italia, è quello che ebbe come vittima Tiziana Cantone, e portò i giudici a pronunciarsi[8] sulla necessità per Facebook di rimuovere quei contenuti, altamente lesivi della sua immagine e reputazione, ancora prima di ricevere l’ordine dell’autorità giudiziaria, perché l’inerzia del social network avrebbe irrimediabilmente pregiudicato i diritti della personalità e resi non più suscettibili di reintegrazione.[9] Si è aperta così una strada in netto contrasto con la normativa europea.
Ed il social network per eccellenza, sembra aver recepito il messaggio. È recentissima la notizia che Facebook[10] abbia sviluppato e reso operativo un sistema denominato “Not without my consent”, che tramite algoritmi di intelligenza artificiale e machine learning e con la collaborazione di alcune organizzazioni[11], sia in grado di contrastare la diffusione di contenuti di revenge porn. Il nuovo sistema di riconoscimento immagini, impedirà la pubblicazione di contenuti rinvenuti come postati senza il consenso della presunta vittima, bloccando altresì l’account del porn revenger, che potrà avvalersi di una prova di innocenza per vedere riattivato il proprio profilo. Un team umano affiancherà il sistema di AI per assicurarsi che il contenuto sia effettivamente riconducibile a revenge porn. Una domanda sorge spontanea: come si struttureranno le accuse per i porn revenger che hanno tentato di agire, ma non sono riusciti a finalizzare la diffusione dei contenuti? Ma soprattutto questi soggetti saranno comunque segnalati alle autorità o l’azione del provider si limiterà alla sua piattaforma? Resta da chiarire.
Una pre-giustizia tecnologica lodevole, che però non può essere lasciata ad operare da sola, è scontato come l’ordinamento non possa consentire che la disattivazione del profilo sul social network, sia l’unica conseguenza patita dal porn revenger. Sarebbe una “sanzione” anche poco utile ad arginare il fenomeno, poiché dal punto di vista tecnologico, gli strumenti alternativi di cui il porn revenger può servirsi sono innumerevoli. Ad esempio utilizzando Telegram, sistema di messaggistica istantanea che garantisce anonimato e la non tracciabilità delle informazioni, con un altissimo grado di tolleranza.[12] Servirebbe pertanto anche un sistema di segnalazione integrato fra le piattaforme, oltre che una collaborazione efficiente tra provider e autorità.
Attuale normativa
Reato di diffamazione (art. 595 c.p.)[13]
Si tratta di uno dei capi di imputazione più utilizzati nei casi di pornografia non consensuale, ma a giudizio di chi scrive c’è qualcosa che sfugge: i suoi principi cardine non colgono appieno la natura dei beni giuridici che vengono attentati dal revenge porn.
La vittima non può giudicarsi diffamata, non essendoci alcuna verità contraria da dimostrare sulla sua reputazione, né vi è un’offesa alla persona che sia rimediabile, la prima pubblicazione dispiega effetti ineliminabili. Quanto viene leso è la sua privacy con particolare riferimento alla sfera sessuale e qualcosa di ben più profondo della sua reputazione sociale. Sia nell’ipotesi in cui la vittima era consapevole di essere ritratta ma non consenziente alla diffusione del materiale, sia nel caso in cui sia stata vittima di voyeurismo, spy cameras o trojan virus sui suoi dispositivi. La realizzazione della personalità e della sessualità, così come “il diritto a tenere segreti aspetti, comportamenti, atti relativi alla sfera intima della persona”[14] e l’integrità personale, sono diritti fondamentali. In primis la vittima deve essere tutelata dall’usurpazione di questi diritti e libertà, compiuta ai suoi danni da parte di terzi, e solo secondariamente per l’immagine reputazionale che viene intaccata. Inoltre i contro limiti del reato di diffamazione, quali la libertà di espressione e il diritto all’informazione non possono sussistere per i casi di revenge porn: il porn revenger non diffonde alcuna verità o falsità, né tanto meno la propria opinione in merito ad un fatto o comportamento.
Fra i requisiti oggettivi del reato vi è la comunicazione della diffamazione “con più persone”, ciò escluderebbe quelle ipotesi di revenge porn, in cui il materiale non è stato condiviso “pubblicamente” su social network o siti web, bensì all’interno di chat private, messaggistica istantanea, email, con un solo altro individuo. Per di più la presenza o assenza della vittima al compimento della “diffamazione”, non varrebbe a declassare l’illecito commesso a semplice ingiuria o a ridurne in qualche modo la gravità.
Atti persecutori (art. 612 bis)[15] e violenza privata (art. 610 c.p.)[16]
Cercare di inquadrare il revenge porn all’interno di reati come lo stalking e la violenza privata non è possibile in moltissimi casi, per mancanza di requisiti oggettivi che queste fattispecie di reato richiedono. Non accade così di frequente infatti che la pubblicazione di materiale sessuale non consensuale sia anticipata e/o accompagnata da una minaccia, violenza o molestie ripetute, essendo queste ipotesi, che si configurano solo in una certa percentuale dei casi finora venuti alla luce.
Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (art. 615 ter c.p.)[17]
Inutile dire come questa previsione possa essere applicata nei soli casi revenge porn, commissionato o effettuato tramite operazioni di hackeraggio, spy cameras o virus installati nei dispositivi personali delle vittime.
Interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.)[18]
Nel primo comma dell’articolo si riporta come le immagini devono essere ritratte “mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva”, escludendo la punibilità per chi le abbia ottenute con altre modalità (creazione consensuale,sexting, sextortion, hacking, ecc.).
In ultimo, con il riferimento alla tutela del domicilio (luoghi dell’art.614 c.p.), secondo recenti pronunce[19] questo dovrebbe essere reso tendenzialmente non visibile a terzi, affinché vi sia punibilità. Così come risulterebbe esclusa tutta quella casistica in cui le immagini coinvolte, sono state scattate altrove.
Diffusione di riprese e registrazioni fraudolente (art. 617-septies c.p.)[20]
Si tratta di una fattispecie sviluppata per essere applicata al contesto delle intercettazioni, in grado però di fornire interessanti spunti per il revenge porn. Non è aderente perché tra le modalità di acquisizione dei materiali, è contemplata solo la fraudolenza, un requisito invece non necessario nel caso di specie, poiché nel revenge porn non avrebbe rilevanza primaria la modalità di acquisizione (essendo peraltro molti dei materiali diffusi degli autoscatti), ma ciò che rileva è l’assenza di consenso alla diffusione. Infine con l’espressione “riprese e registrazioni audio e video” l’articolo sembrerebbe escludere la casistica costituita da sole immagini. Nonostante per alcuni aspetti si riveli una norma poco calzante, risulta però estremamente interessante la sua impostazione incentrata sull’aspetto della pubblicazione che sembra sottolineare “proprio tale segmento della condotta” [21] come ciò che fa assumere all’illecito quella maggiore carica lesiva.
Trattamento illecito di dati personali (ex art. 167 d.lgs. 196/2003)[22]
L’articolo è stato rivisto con il GDPR. Nell’attuale formulazione viene punito chiunque, salvo che il fatto costituisca più grave reato, violando specifiche disposizioni di legge (descritte nell’art. 167, D.lgs 196/2003 aggiornato al D.lgs 101/2018) arrechi nocumento all’interessato al fine di trarre per sé o per altri, profitto ovvero di provocare un danno alla vittima. L’aggiunta del “danno“, rispetto alla precedente disposizione, consentirebbe di ricomprendere tra le fattispecie tutelabili anche il revenge porn. Le maglie larghissime di questa disposizione potrebbero essere quelle entro cui includere in maniera più convincente le condotte in oggetto, ma proprio l’eccessiva genericità suscita dei dubbi sulla sua adeguatezza.
Conclusioni
Che risultati ha dato, ad oggi, l’utilizzo di queste fattispecie? Esse sono in grado di garantire una tutela e una punibilità sufficienti? E’ una questione che resta aperta e suscettibile di essere differentemente giudicata dai diversi operatori del diritto.
A giudizio di chi scrive, scongiurare l’intervento legislativo per il timore di un eccessivo ingolfamento del sistema penale, non risulta una motivazione del tutto sostenibile. Considerata l’estrema frammentazione delle normative preposte, si rischia di trasportare le temute difficoltà sul piano applicativo. In che senso? In passato questo ampio ventaglio di possibilità ha reso molto diversificata la scelta del capo d’imputazione, nei casi di pornografia non consensuale, con esiti anche difficilmente condivisibili, come la richiesta di archiviazione del caso Cantone e la sentenza di n.372/2019 Cassazione, III Sez. Pen.[23] Il revenge porn dovrebbe godere di una maggiore certezza del diritto, una rimozione dei contenuti quasi istantanea e un più preciso indirizzamento per la magistratura. Ove vi fossero dubbi sull’inadeguatezza degli strumenti esistenti e fosse necessario vagliare altre ragioni, si pensi ai lunghissimi tempi giudiziari incompatibili con le esigenze del caso, all’incessante crescita di questo fenomeno, soprattutto fra i giovanissimi, e al massiccio intervento legislativo che si registra in molti altri ordinamenti, di certo non meno strutturati del nostro (peraltro anche in sistemi di common law, in cui c’è una particolare sensibilità per la “over criminalization”).[24]
Intervenire, inoltre, sottolineerebbe in maniera decisa il riconoscimento da parte dell’ordinamento, del gravissimo danno psicologico ed esistenziale inflitto alla vittima, contribuendo a ridurre tutte quelle reazioni di biasimo e rimprovero sociale a cui questa viene spesso sottoposta,[25] come se il cruccio interiore non fosse di per sé sufficiente. Si ritiene che la determinazione della sua libertà sessuale e di disporre liberamente del proprio corpo, non siano lecito oggetto dell’altrui opinione e una nuova norma potrebbe dispiegare una funzione educativa in tale direzione. Non si rischierebbe di utilizzare il dettato normativo per inculcare precetti che il tessuto sociale non ha ancora fatto propri, poiché il sexting è una pratica più che consolidata e l’aberrazione del revenge porn altamente percepibile. Si darebbe finalmente dignità a questo illecito online.
In Italia sono in fase di elaborazione più proposte di legge. La prima proposta “Legge contro la condivisione non consensuale di materiale intimo” è nata dall’intervento congiunto di alcune associazioni[26] con un tavolo di esperti, per la redazione di un testo che sarà presentato in Parlamento dall’On. Boldrini, dietro la raccolta di 100.000 firme di cittadini. E’ poi intervenuta l’On. Evangelista, M5S, con una propria proposta, pubblicata per la consultazione interna al movimento sulla piattaforma Rousseau ed infine una terza proposta di Forza Italia.
Nessuna delle proposte è stata ancora ufficialmente presentata e non si esclude la presentazione di un testo condiviso. Quanto ci si aspetta di trovare, oltre all’imprescindibile profilo sanzionatorio che ricada sul provider negligente, il porn revenger e tutti gli altri soggetti coinvolti, è un piano di intervento di strettissimo margine temporale e di facile accesso per le vittime, che sorga dalla collaborazione tra istituzioni e provider, tenendo in considerazione le specifiche tecniche degli elementi probatori. Dovrebbe altresì venir predisposto, così come è accaduto in altri ordinamenti, un ente che segua la vittima in un percorso di assistenza legale e psicologica e sostenga un serio piano di educazione civica e digitale, non rivolto esclusivamente alle scuole. Un punto di riferimento potrebbe essere rintracciato nella creazione di una speciale unità del Garante della privacy, che avrebbe anche urgente necessità di un incremento di organico, e/o una help line della Polizia postale.
In attesa che la legge faccia il suo corso, la comunità di Internet può fare la sua parte per arginare il fenomeno: sarebbe auspicabile che anche gli altri utenti, una volta visionato o ricevuto il materiale si impegnino nelle segnalazioni, poiché spesso il primo visualizzatore dei contenuti diffusi non è la vittima e il fattore temporale, gioca un ruolo fondamentale in questa partita. Così come sarebbe un segno di civiltà rifiutarsi di visionare i contenuti ricevuti e non fare ricerche sul web per trovarli.
[1] Barmore C., Criminalization in Context: Involuntariness, Obscenity, and First Amendment, in Stanford Law Review, 2015, vol. 67, p. 465. Disponibile al link: https://www.researchgate.net/publication/279315503_Criminalization_in_context_Involuntariness_obscenity_and_the_First_Amendment
[2] I provider, ISP (Internet service provider), ossia tutti gli intermediari di servizi internet che forniscono agli utenti i mezzi per la trasmissione, connessione, comunicazione e memorizzazione dei dati online, sono classificati in servizi per: il mero trasporto dei contenuti in rete (mere conduit), la conservazione temporanea o prolungata (caching) dei dati, per il solo acceso o fornitura di spazi web (hosting). In altre parole sono ISP tutti i motori di ricerca, siti web, social network, email service e sistemi di messaggistica istantanea. Per approfondimenti: https://www.cyberlaws.it/responsabilita-intermediari-online/
[3] La responsabilità si intende esclusa quando il provider “non è a conoscenza” del fatto che si è compiuta un’attività illecita e circa le azioni risarcitorie, ne resta esentato qualora “non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione”. Così come è esclusa la responsabilità dei provider mere conduit (art.14).
[4] Panattoni B., Il sistema di controllo successivo: obbligo di rimozione dell’isp e meccanismi di notice and take down, in Riv. Diritto Penale contemporaneo, 5/2018, p.250. Disponibile al link: https://www.penalecontemporaneo.it/d/6078-il-sistema-di-controllo-successivo-obbligo-di-rimozione-dell-isp-e-meccanismi-di-notice-and-take-do
[5] Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 29/2015.
[6] La realtà però è che molti social network analizzano preventivamente i contenuti, come ad esempio quelli per le inserzioni pubblicitarie, prima che questi vengano immessi effettivamente online. Così come lavorano per profilare i dati degli utenti, per ottimizzare annunci e monitorare l’intensità delle interazioni attorno ai contenuti. Di hosting neutrale pertanto resterebbe ben poco. Dunque ci si chiede se tali tecnologie non possano essere messe a servizio, oltre che per fini di profitto, anche per la salvaguardia dei diritti fondamentali. D’altronde per operare nel nostro territorio le imprese, devono pur sempre agire entro determinati limiti, primi tra tutti quelli dell’art. 41 Cost, fra cui il rispetto della dignità umana.
[7] Torino, sent. 1928 7/04/2017. Cass. Pen., Sez. V, 27 dicembre 2016, n. 54946.
[8] Tribunale di Napoli Nord, 3 novembre 2016.
[9] Inutile sottolineare quanto Tiziana abbia dovuto attendere, dopo la segnalazione al Garante, per ottenere il diritto all’oblio. Il Garante da anni, soffre di carenza di organico e si trova a dover fare fronte a tutte le richieste di cancellazione dei contenuti web in Italia, sarebbe auspicabile un incremento di personale e/o affiancamento di sistemi di AI di supporto.
[10] https://www.facebook.com/safety/notwithoutmyconsent/
[11] Revenge Porn Helpline nel Regno Unito, Cyber Civil Rights Initiative negli Stati Uniti, Digital Rights Foundation in Pakistan, SaferNet in Brasile e con il Professor Lee Ji-yeon in Corea del Sud.
[12] Telegram, proprio per le sue caratteristiche anti tracciamento, è infatti anche il sistema di messaggistica tramite cui sono passate le comunicazioni per compiere attentati terroristici. Alcune “indagini” condotte su segnalazione di Silvia Semenzin, sociologa digitale, hanno portato alla scoperta di canali Telegram, come Canile 2.0, che conta 2300 iscritti, tutti uomini, scambiano immagini dal contenuto sessuale non consensuale ed i dati personali di ex partner, in maniera del tutto indisturbata. Per approfondimenti: https://www.wired.it/internet/web/2019/01/23/telegram-chat-stupro-virtuale-minori-stalking-revenge-porn/
[13] «Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate. »
[14] Alpa G., Manuale di diritto civile, Cedam, 2013, p. 195.
[15] «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumita’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.»
[16] « Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni. La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339. »
[17] «Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni. La pena è della reclusione da uno a cinque anni: 1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema; 2) se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesamente armato; 3) se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti. Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni.
Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede d’ufficio. »
[18] «Chiunque mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo. I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.»
[19] Corte Suprema Di Cassazione, Sezione terza penale, sent. 8 gennaio 2019, n. 372.
[20] «Chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione, è punito con la reclusione fino a quattro anni.»
[21] Caletti G., “Revenge porn” e tutela penale – Prime riflessioni sulla criminalizzazione specifica della pornografia non consensuale alla luce delle esperienze angloamericane, in Riv. Trimestrale di diritto penale contemporaneo, 3/2018, p.84.
[22] « Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli articoli 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all’articolo 129 arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi.
Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2-sexies e 2-octies, o delle misure di garanzia di cui all’articolo 2-septiesovvero operando in violazione delle misure adottate ai sensi dell’articolo 2-quinquiesdecies arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena di cui al comma 2 si applica altresì a chiunque, al fine di trarre per sè o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale al di fuori dei casi consentiti ai sensi degli articoli 45, 46 o 49 del Regolamento, arreca nocumento all’interessato.
Il Pubblico ministero, quando ha notizia dei reati di cui ai commi 1, 2 e 3, ne informa senza ritardo il Garante.
Il Garante trasmette al pubblico ministero, con una relazione motivata, la documentazione raccolta nello svolgimento dell’attività di accertamento nel caso in cui emergano elementi che facciano presumere la esistenza di un reato. La trasmissione degli atti al pubblico ministero avviene al più tardi al termine dell’attivita’ di accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui al presente decreto.
Quando per lo stesso fatto è stata applicata a norma del presente codice o del Regolamento a carico dell’imputato o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria dal Garante e questa è stata riscossa, la pena è diminuita. »
[23] La massima: non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di chi, attraverso un cellulare, si procura video e foto delle vicina che si trovi nel bagno di un’abitazione privata privo di tende alle finestre. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’imputato non utilizzò alcun accorgimento per fotografare e filmare la persona offesa e che, comunque, non furono ripresi comportamenti della vita privata sottratti alla normale osservazione dall’esterno, posto che la tutela del domicilio è limitata a ciò che si compie nei luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile a terzi.
[24] Nel 2014 il Canada ha predisposto un Act sul crimine in rete, emanato per contrastare il cyber bullismo, che è stato integrato da una previsione sulla diffusione di immagini intime.
Nel 2015 in Inghilterra è stata aggiunta in via d’urgenza la section 33, al Criminal Justice and Courts Act, che contiene la nuova offence di «disclosure of private sexual photographs and films», adottata anche in Scozia e Nuova Zelanda.
Negli Stati Uniti, più di 30 Stati hanno legiferato in via specifica sulla pornografia non consensuale e il Congresso è al lavoro per elaborare il medesimo reato anche a livello federale.
Anche in Australia, dove 2 delle 6 giurisdizioni (South Australia e Victoria) hanno già varato norme penali di contrasto al revenge porn, è in corso l’approvazione di una specifica offence da parte del Parlamento.
Infine in Giappone è stato recentemente introdotto un reato relativo alla pornografia non consensuale, in uno Stato in cui il problema è particolarmente sentito oltre che diffuso. Altri interventi legislativi riguardano, Israele e in Europa, la Spagna.
[25] Ibidem. Caletti, p.87.
[26] Bossy, I sentinelli e Insieme in Rete.
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