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Un’analisi comparata dei profili economici della responsabilità civile nel mondo dell’A.I.

di Pier Francesco Zari


L’avveniristico mondo dei robot e dei prodotti corredati da I.A. prelude a delle sfide che il legislatore dovrà tenere in considerazione. Si prenderà, dunque, in esame l’obsolescente normativa europea in materia di responsabilità da prodotti difettosi per delineare un quadro delle conseguenze maturate fino ad oggi e si cercherà altresì di sviluppare un’analisi economica della policy finora perseguita dal nomoteta europeo. Tale dissezione si articolerà non solo staticamente, cercando cioè di capire come il regime di responsabilità civile attuale causi teoricamente problemi al relativo mercato, ma anche dinamicamente, comprendendo così anche le ripercussioni della policy europea sui produttori stessi. Non si mancherà infine di ipotizzare sistemi di riferimento della responsabilità civile in materia che tengano in debito conto le peculiarità del mondo dell’intelligenza artificiale.

  1. Premessa generale.

In un contesto di generalizzata diffusione dei prodotti equipaggiati con sistemi di I.A. potrebbe essere interessante analizzare dal punto di vista economico non solo il regime di responsabilità oggettiva gravante sul produttore (o chi per lui, se non imputabile), e quindi i risultati possibili che tale regime di responsabilità può avere nel mercato dell’intelligenza artificiale, ma anche i regimi alternativi implementabili. La responsabilità civile infatti è l’istituzione che più si presta ad un’analisi quantitativa di un fenomeno e del suo impatto sociale, anche in termini economici. Tale diagnosi risulterebbe dunque utile per avere una prospettiva più ampia e concreta del suddetto impatto, nonché per individuare con più precisione dei criteri di imputazione compatibili con le esigenze del settore dell’intelligenza artificiale. Si prenderà dunque in considerazione innanzitutto un’analisi positiva, o statica, del fenomeno, per poi passare ad un’analisi normativa, o dinamica[1], concludendo con una serie di possibilità prospettabili e selezionando le migliori, sia dal punto di vista economico, che da quello della giustizia ed equità sociale.

  1. Un’analisi statica del regime di responsabilità: modelli e conclusioni.

In un sistema di concorrenza perfetta, priva di regolazione, nel quale consumatori e imprenditori possono liberamente fruire della legge della domanda e dell’offerta[2], l’equazione inversa di domanda corrisponde a:

D: 

dove il prezzo del bene domandato è inversamente proporzionale alla quantità offerta[3], mentre l’equazione della curva di offerta è data da:

S: 

dove il prezzo è uguale a , che è il costo marginale, ossia il costo di un’unità aggiuntiva prodotta, cioè la variazione di costo all’aumentare della produzione di una unità[4]. In tale situazione dunque l’equilibrio di mercato è raggiunto quando queste due equazioni si eguagliano raggiungendo non soltanto il prezzo ottimo, ma anche la corrispondente quantità di beni prodotti ottimale[5].

In questo idilliaco e illusorio status quo possono però irrompere diversi elementi, tra i quali le regolazioni statali, che possono incidere tramite i più disparati argomenti, dalla tassazione pigouviana al divieto di vendita, all’incremento obbligatorio di standard di sicurezza[6]. Tra questi elementi vi è anche il regime di responsabilità civile scelto per poter regolare eventuali patologie derivanti dal mercato di riferimento: la responsabilità civile è infatti un rimedio ex post alla problematica del fallimento di mercato[7], nel quale si verifica un’allocazione inesatta dei costi, riconducibili ai più vari fattori. È chiaro che la regolazione porta ad una variazione dei singoli componenti delle equazioni precedentemente prese in considerazione[8], portando la domanda a:

D’: 

dove  è il nuovo prezzo del bene domandato, che è uguale alla differenza tra nuovo prezzo ed il prodotto per la costante  e la quantità del bene stesso, mentre l’offerta sarà:

S’: 

dove il nuovo prezzo del bene offerto eguaglia il costo marginale dato dal nuovo prezzo del bene stesso. Se andiamo a scomporre ed analizzare i singoli fattori, possiamo vedere come effettivamente il regime di responsabilità incida notevolmente sulla legge della domanda e dell’offerta. Se infatti analizziamo , che può essere maggiore o minore di  a seconda di molteplici fattori[9], possiamo scomporlo in questo modo:

 dove ,  (probabilità del danno, che è data dalla quantità di prodotti difettosi sulla quantità totale prodotta di beni),  e . In tale modello appunto il nuovo prezzo cui è disposto a pagare il consumatore medio è dato dalla differenza tra il prezzo di concorrenza perfetta () e non soltanto il danno subito (che è dato dal prodotto tra la probabilità del danno, ( ) , l’ammontare del danno, (), e la quantità, (), ma anche le spese legali che la parte danneggiata consumatrice deve soffrire in virtù dell’eventuale processo (che sono date dal prodotto tra la probabilità di vincere la causa, () , le spese legali, , nonché dal probabile danno sofferto, ossia (), eventualmente compensate dal risarcimento che una vittoria processuale può portare (dato dal prodotto tra la probabilità di danno per prodotto, (), le probabilità di vincere la causa, (v), nonché il quantitativo di risarcimento eventualmente percepito, (r). Tale modello, con i dati al posto giusto, darà a  una sua concretezza, perché in esso si valuteranno tutti gli aspetti inerenti alle vicissitudini di un prodotto difettoso, come il processo e l’eventuale risarcimento, che sono costi che vanno ad aggiungersi non solo al prezzo originario, ma anche al danno subito dal prodotto difettoso stesso. Considerando i vari regimi di responsabilità applicabili, che tradizionalmente nell’analisi economica del diritto sono due[10], possiamo dunque trarre delle conclusioni dal lato della domanda. Se difatti il legislatore implementasse un regime di responsabilità per colpa, caratterizzato da spese processuali maggiori[11]  e da un regime probatorio ordinario[12], si potrebbe immaginare che il prezzo post-regolazione cui i consumatori sono disposti a comprare il bene possa diminuire in corrispondenza di maggiori spese legali (quindi al salire del fattore l), nonché ad una marcata diminuzione della probabilità di vincere la causa, dovuta ad oneri probatori proibitivi, come nel caso dell’intelligenza artificiale, cosa che influenza anche il quantitativo di risarcimento r[13]. Si potrebbe obiettare giustamente che un siffatto regime di responsabilità potrebbe garantire una migliore diagnosi del danno, individuando in modo più approfondito il corretto responsabile del danno stesso, anche se ad un prezzo maggiore in termini economici, nonchè contribuire ad uno scopo deflattivo del numero di cause tentate, che incrementano in corrispondenza di una facilitazione degli oneri processuali e diminuiscono invece con un loro inasprimento[14]. A questa ultima obiezione tuttavia si può rispondere con un dato di fatto: la complessità e l’estrema varietà di componenti che caratterizzano un dispositivo I.A. standard non consentirebbe sempre di individuare il responsabile esatto del danno, per non dire che potrebbe non esserci la possibilità stessa di individuarlo in modo assoluto, portando dunque a risultati di iniquità notevoli dal punto di vista dell’allocazione dei costi: questo principalmente per l’imprevedibilità apportata dal processo di machine learning, che inserirebbe l’elemento di randomness nella causalità materiale relativa al comportamento del dispositivo. Possiamo dunque immaginare che il legislatore, per tutta questa serie di motivi, opti per una scelta diversa, come ha effettivamente fatto il nomopoieta europeo con la direttiva 374/1985/CE, e dunque di regolare il mercato con un regime di responsabilità semi-oggettiva, caratterizzato da una più snella disciplina probatoria e da una probabilità di vittoria maggiori per il danneggiato, coadiuvato dai tipici meccanismi presuntivi[15]. Ad un tale stato di cose potrebbe[16]conseguire che il prezzo cui i consumatori sono disposti a pagare il bene in questione risulti sempre maggiore rispetto al prezzo ottimo, ma comunque sempre minore rispetto a quello relativo al regime di responsabilità per colpa[17]: si avrebbe infatti una sensibile diminuzione di costi terziari da un regime all’altro in termini di spese legali, in virtù dell’inversione dell’onere della prova, che grava ora sulla parte che più si presta, sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista delle conoscenze tecnologiche, a poter subire tali costi in termini di efficienza ed efficacia, ossia l’imprenditore. Inoltre si può constatare un aumento di possibilità di risarcimento che, posto che il quantitativo di risarcimento stesso sia esatto, incrementano vertiginosamente proprio in relazione alla facilitazione probatoria di cui fruisce la parte danneggiata con il regime di responsabilità oggettiva[18]. Il regime di responsabilità oggettiva dunque consente di contenere i costi dal punto di vista processuale, consentendo così al consumatore medio di non veder intaccata la propria disponibilità a pagare. Si tenga inoltre conto che un non-intervento porta all’azzeramento delle spese legali e della conseguente pretesa risarcitoria, diminuendo la disponibilità a pagare del consumatore soltanto dell’ammontare del danno atteso (): chiaramente si lascia al mercato, dominus omnium, il compito di risolvere il problema del responsabile, creando sicuri scompensi dal punto di vista della sicurezza e della giustizia sociale[19]. Si pone dunque il problema delle esternalità, ovvero delle conseguenze positive o negative riguardanti l’attività di consumo di un soggetto sul benessere complessivo di un altro soggetto, senza che questo possa averne risarcimento o pagarne un prezzo. Nel caso del mercato di prodotti con I.A., si possono ricondurre eventuali esternalità negative (di cui qui ci occupiamo[20]) all’elemento di imprevedibilità connesso ai dispositivi con I.A.: si tratta infatti del fattore principale, declinabile poi attraverso le tipologie dei beni specifici sul mercato, che deve essere tenuto in considerazione per quanto riguarda il costo sociale totale di eventuali malfunzionamenti di dispositivi con I.A. e di lesioni arrecate a terzi da tali anomalie, che gravano interamente sul consumatore se si lasciasse il mercato come unico legislatore[21]. Dal lato della domanda, è dunque benefico che le esternalità negative vengano riassorbite da chi le produce, cioè i produttori stessi, con il regime che più garantisce questo obiettivo con un contenimento dei costi amministrativi e privati, come quello di responsabilità oggettiva. A mero titolo di esempio, qualora una automobile senza guidatore investisse un pedone, l’esternalità del danno al terzo viene risolta dalla legislazione vigente, prevedendo un risarcimento a carico del conducente. L’ipotetica legislazione sull’I.A. dunque si dovrebbe porre la questione distributiva, se cioè il consumatore (conducente in questo caso), su cui gravano i costi del danno, sia effettivamente tenuto al pagamento del risarcimento, anche quando il difetto del prodotto non sia a lui addebitabile, ma imputabile al produttore di eventuali componenti difettosi.

Un altro caso particolare può essere dato dal fatto che le spese legali attese possono essere maggiori del risarcimento atteso stesso, eventualmente ottenuto in causa, cosa che porta ad una palese inefficienza del sistema regolativo, il quale si rivela addirittura dannoso per questo motivo, incrementando ingiustificatamente i costi amministrativi: questa possibilità è ventilabile soprattutto con il regime di responsabilità per colpa, che tende a far aumentare i costi dovuti ai processi[22]. Il legislatore europeo dunque non solo ha scelto il regime di responsabilità oggettiva in previsione di quest’ultimo passaggio, intervenendo sul mercato dei prodotti industriali, artigianali ed agricoli con la direttiva del 1985, ma ha anche sicuramente prodotto un aumento delle tutele dei consumatori sotto gli aspetti di sicurezza e prevenzione[23], ma altresì ha fatto sì che dal lato dei consumatori si assistesse ad una minore disponibilità a pagare per quegli stessi prodotti rispetto a ciò che avveniva prima del 1985, in paesi che non avevano regole simili (come appunto l’Italia).

Allo stesso modo è possibile analizzare le conseguenze del regime di responsabilità dal punto di vista della curva dell’offerta, dove il nuovo costo marginale sarà maggiore del vecchio costo marginale[24], cioè:   dove il nuovo costo marginale che un imprenditore deve sostenere per produrre il bene in questione è dato dalla somma tra il vecchio costo marginale ante-regolazione, , le spese legali cui far fronte nel caso di un processo, date dal prodotto tra la probabilità del danno per prodotto,, le spese legali stesse, (l), nonché le probabilità di perdere la causa sopravvenuta, (v), ed infine il risarcimento atteso cui far fronte in caso di sconfitta (che può essere pari a zero in caso di vittoria), dato dal prodotto tra la probabilità della difettosità del prodotto, , il risarcimento eventualmente conseguito, (r), le probabilità di vittoria del consumatore,. È chiaro dunque che lo stesso ragionamento, che si è fatto a proposito della domanda, si può traslare qui in senso opposto, con la sola differenza che il costo marginale post-regolazione aumenta in relazione a qualsiasi regime di responsabilità implementabile nel settore. Infatti non è solamente con la responsabilità per colpa che incrementano i costi per produrre un’unità aggiuntiva: questo principalmente a causa delle spese legali che il produttore deve sostenere, di solito alte, e dei costi di un eventuale risarcimento, che fanno lievitare appunto i costi produttivi in qualsiasi regime di responsabilità si trovi, compreso quello di responsabilità oggettiva. È altrettanto chiaro però che quello che vale per il consumatore, favorito da un regime di responsabilità oggettiva e sfavorito invece da un regime di responsabilità per colpa, non vale per il produttore: un regime di responsabilità oggettiva difatti lo sfavorisce sia dal punto di vista processuale sia dal punto di vista della ricerca e sviluppo[25], mentre uno di responsabilità per colpa riesce a sfavorirlo in modo minore, per spese legali e possibilità di risarcimenti dimidiate rispetto al precedente regime. Come si può ben vedere, in entrambi i casi si parla di sfavorire il produttore, giacchè nei casi sopra esaminati vi è comunque un incremento dei costi di produzione: l’opzione di non regolazione, che sarebbe ottimale dal punto di vista dell’ottimo paretiano, poiché eviterebbe sia i costi di risarcimento sia quelli relativi alle spese legali, non è tuttavia percorribile perché graverebbero interamente sul consumatore i costi sociali provenienti da esternalità negative dovute ad imprevedibilità dei dispositivi con I.A.[26]. Il legislatore europeo dunque, introducendo la disciplina della direttiva del 1985, ha gravato il produttore di ulteriori oneri, cosa che ha aumentato i prezzi relativi alla produzione di un bene, ma che ha avuto riflessi sulla quantità offerta di esso, che è diminuita. La disciplina della direttiva però comunque riesce a garantire il giusto mezzo tra le ipotesi prospettate e le esigenze di sicurezza e giustizia sociale, come anche prospettato nelle relazioni posteriori alla stessa, conformandosi perfettamente ai propri scopi originari[27]. I maggiori costi per il produttore inoltre, salvo domanda infinitamente elastica, nella realtà inesistente, vengono almeno in parte scaricati sui consumatori: più la domanda del bene sarà rigida, più il produttore potrà scaricare i costi sul consumatore. Si tenga conto che un settore I.A., che ad oggi offre beni sostituibili, cioè che hanno un omologo meno sofisticato e mediamente più economico sul mercato, vede la presenza di una domanda molto elastica in termini comparativi, amplificando dunque l’effetto indesiderabile sopra descritto[28].

Premesso che il sistema migliore garantisce costi amministrativi bassi, che si conformano come veri e propri sprechi[29], e che è necessario che il produttore, tradizionalmente parte forte in un processo sia sotto il punto di vista della disponibilità finanziaria sia da quello delle conoscenze tecniche, non rimanga impunito e che i danni che scaturiscono da eventuali difetti non si trasmutino in costi inconsulti per il consumatore[30], bisogna dire che il sistema di responsabilità, per quanto oggettiva, deve essere flessibile in mancanza di disciplina precisa: un regime monolitico, che agisce per presunzioni, come quello oggettivo, deve essere pronto a guardare alle esigenze di entrambe le parti, per non gravare eccessivamente nè in capo all’una nè in capo all’altra[31]. Risulta evidente che un settore come quello dell’intelligenza artificiale, in cui i costi di produzione sono già alti e i possibili danni causati da eventuali difetti possono essere enormi[32], un regime di responsabilità deve tenere in conto di entrambi questi fattori, che possono incidere anche sul suo sviluppo nel lungo periodo, coniugandoli però con istanze di protezione sociale derivanti dal bacino dei consumatori e di equità che provengono invece da quello dei produttori. Si aprono dunque le porte per un’analisi più ampia, che guardi anche al settore nel suo complesso, con le sue peculiarità, diverse da un generico mercato di beni di consumo.

  1. Un’analisi dinamica del settore dell’I.A. in relazione al regime di responsabilità.

Se si dà uno sguardo al mercato dell’I.A. è dunque riscontrabile una marcata diversità rispetto al normale mercato dei normali prodotti oggetto della direttiva del 1985, non solo per le caratteristiche oggettive dei dispositivi con I.A., ma anche per la funzione di produzione corrispondente, le cui variabili si dimostrano alquanto atipiche rispetto al normale. Analizzando il mercato dei prodotti generalmente intesi, e volendo scriverne la funzione di produzione con una funzione Cobb-Douglas[33], si può vedere come la quantità dei beni prodotti sia corrispondente a:

con   con

intendendo  come il fattore tecnologia,  come la quantità di capitale necessaria alla produzione e  invece come la quantità di lavoro necessario a produrre la determinata quantità, mentre  costituisce la costante che indica la produttività marginale dei fattori e (inversamente) .

In un settore capital-intensive come quello dell’intelligenza artificiale la costante  è grande, per semplicità possiamo assumere tendente ad uno, rendendo trascurabile il fattore lavoro, , che effettivamente mette in evidenza che il ruolo decisivo nella produzione è data dagli investimenti di capitali, cioè nel fattore . Se si considera  esogeno e non rilevante ai fini della presente analisi, è interessante capire innanzitutto come la quantità prodotta, , dipenda soprattutto dal capitale immesso nell’impresa. Tale situazione fa sì che vi siano elevati rendimenti di scala, intendendo per tali la relazione esistente tra la variazione degli input di produzione in una unità produttiva e la variazione del suo output[34], relazione che vede corrispondere ad un aumento degli input un aumento quasi proporzionale dell’output, e all’opposto qualora vi sia diminuzione degli input. È chiaro che un regime di responsabilità oppressivo per il produttore risulta incidere sui costi che egli deve sostenere per la produzione stessa, fungendo da disincentivo ad un incremento di quest’ultima, ad un investimento maggiore in termini di innovazione, ricerca e sviluppo: questa situazione deve essere attentamente valutata dal legislatore europeo, soprattutto nell’ottica di favorire la concorrenza nel mercato interno e in quello internazionale per un settore[35], come quello dell’I.A. che ha costantemente sete di innovazione, di ricerca di nuove frontiere di sviluppo, e che quindi non deve essere frenato da fattori esogeni contingenti. Ovviamente, in modo altrettanto certo, bisogna garantire uno sviluppo «sociale»del settore, nel senso che deve essere garantita la funzione sociale della produzione, in modo tale che lo sviluppo in tale campo non sia occasione di arricchimento per pochi eletti e causa di danno per molti altri[36].

Dato che inoltre, matematicamente parlando, la probabilità del difetto di un prodotto dipende dalla quantità prodotta stessa[37], giacchè:

(intendendo con  la quantità di prodotti difettosi e con  la quantità totale prodotta, nonché con  la probabilità che un prodotto sia difettoso al termine del processo produttivo stesso) è evidente che il principio del learning by doing[38]dovrà trovare applicazione in un settore stabilizzato, e non dunque tartassato da una regolazione soffocante. Tale principio, che dimostra come, mano a mano che la produzione vada avanti, essa diventi sempre più attenta ai particolari e più efficiente nell’evitare difetti, trova applicazione solo se la produzione rimane costante o aumenta in prospettiva temporale, e non diminuisca: il regime di responsabilità, qualsiasi esso sia, come abbiamo visto prima, porta a variazioni sul prezzo, che tuttavia hanno influenza anche sulla produzione. Nonostante infatti qualora l’aumento della produzione comporti un maggior numero di prodotti potenzialmente difettosi[39], tale principio consente di affermare che ad una maggiore produzione non sempre corrisponde una maggiore eventualità di difetti: se producendo di più, infatti, si migliora il processo produttivo, il tasso di prodotti difettosi in termini relativi scende[40]. Il regime di responsabilità infatti modifica le curve di domanda e di offerta, cambiandone i parametri e portando non solo ad un aumento del prezzo di equilibrio, ma anche ad una corrispondente diminuzione della quantità di equilibrio[41]. Tale conseguenza può risultare letale dal punto di vista di tale principio, giacché ad una diminuzione della quantità totale prodotta corrisponderebbe una inoperatività del principio stesso: se difatti la quantità dei prodotti scende, non si potrà mai migliorare il processo produttivo e ridurre la probabilità di difettosità, se non per shock tecnologici esogeni, o per caso, diminuendo di molto la capacità innovativa e migliorativa di un’impresa[42]. Semplificando, si potrebbe descrivere un processo di miglioramento qualitativo e, più in generale, di learning by doingin un settore come l’I.A.:

dove  è la probabilità di prodotto difettoso in un determinato momento temporale, che può rimanere statica qualora l’aumento della quantità prodotta in un lasso di tempo,, sia minore o uguale a zero (il che vuol dire che la produzione o è rimasta costante oppure addirittura è diminuita in tale lasso di tempo) e  è la probabilità di difetto al termine del lasso di tempo preso in considerazione; allo stesso  tempo, qualora  sia strettamente positiva, significando che la produzione è aumentata nel periodo di tempo in esame, la probabilità di difetto del prodotto diminuisce tra una costante generica e la differenza di produzione che il periodo in esame vede[43]. Questo vuol dire che se la produzione aumenta (e si badi bene, aumenta strettamente), nel breve-medio periodo, la probabilità di difetto scende in un rapporto direttamente proporzionale. Dato che la differenza di quantità prodotta nel lasso di tempo è trascrivibile, riutilizzando il modello Cobb-Douglas iniziale, come:

è evidente che la strada per poter anche solo pensare di ridurre il contenzioso in materia di prodotti difettosi, diminuendo altresì la probabilità di difetto stessa, è quella di permettere che vi siano flussi di capitale continui e costanti, e di incentivare la ricerca e lo sviluppo nel settore. Per quanto riguarda il settore dell’I.A. questo ragionamento può essere applicato all’ennesima potenza, dato che è pure un campo innovativo che ha bisogno di sostegno dal punto di vista della regolamentazione[44]. Non si può infatti applicare un regime di responsabilità che si basa sulla difettosità di un prodotto che colpisca in modo così pesante il produttore in campi dove non esistono ancora economie di scala rilevanti, pena il depotenziamento di un intero sistema produttivo: questo perché in un settore come quello dell’intelligenza artificiale allo stato attuale di cose, solo grandi imprese, capaci di internalizzare i costi a fondo perduto sull’innovazione, sono in grado di sostenere i costi che derivano da eventuali contenziosi e dalla prevenzione che viene richiesta nella catena produttiva[45]. Fermando i processi di innovazione e apprendimento nel settore tramite una regolamentazione che ne rallenti, o addirittura inverta, le prospettive di sviluppo, si rischia che il dato settore non riesca a raggiungere in futuro gli standard che il legislatore vorrebbe fargli raggiungere tramite la propria policy[46].

Dal punto di vista applicativo, si deve dire che tali modelli sono interpretativi: ciò significa che essi cercano di spiegare l’andamento di un fenomeno e la sua evoluzione ricorrendo a leggi generali e ipotizzando strutture interne che giustifichino il fenomeno stesso. Tali modelli, non essendo predittivi, non consentono di prevedere con esattezza l’evoluzione futura di un fenomeno, in un dato orizzonte temporale[47]. In base a ciò che è stato detto in precedenza, si può dedurre che l’implementazione di un regime di responsabilità per colpa sarebbe estremamente nocivo per il mercato: esso avrebbe infatti conseguente devastanti soprattutto dal lato della domanda, non risparmiando però nemmeno il lato dell’offerta, causando un incremento del prezzo dei beni in questione che scoraggerebbe l’intero mercato. Un regime di responsabilità oggettiva, pur non avendo un impatto così forte sul lato della domanda, avrebbe invece conseguenze più dure sul lato dell’offerta, costringendo i produttori ad internalizzare i costi sociali derivanti dalle esternalità negative della produzione dei suddetti beni: questo, se dal lato dello sviluppo del settore e dell’innovazione può essere un fattore da tenere bene in considerazione, non è necessariamente un evento tragico. Con il regime di responsabilità oggettiva difatti si riuscirebbe ad avere una crescita equilibrata, attenta alle esigenze di protezione del consumatore e all’internalizzazione dei costi sociali che possono eventualmente scaturire da patologie del mercato: ciò scoraggerebbe sicuramente l’offerta, mantenendo comunque sostenuta (ma non invariata) la domanda, ma riuscirebbe comunque a far raggiungere standard di sicurezza e di sviluppo sostenibili nel lungo periodo, diminuendo drasticamente la probabilità di costi sociali elevati (si veda la talidomide, a mero titolo di esempio). Le esternalità negative in un settore come quello dell’I.A. difatti provengono principalmente dall’elemento di imprevedibilità che ne accompagna i dispositivi[48]: ecco che, se non vi fosse un adeguato sistema correttivo, tali costi verrebbero scaricati interamente sui consumatori[49], che pure, in una situazione standard di manutenzione e corretto utilizzo del dispositivo, non avrebbero colpa di un eventuale malfunzionamento dello stesso. Ecco che un regime di responsabilità oggettiva, pur avendo effetti negativi sul lato dei produttori, risulta una modalità efficace di distribuzione dei costi sociali, che verrebbero collocati sui produttori: un approccio di tipo pigouviano difatti non risulterebbe altrettanto efficace. La tassazione pigouviana difatti disincentiverebbe in anticipo determinate attività, non garantendo neppure di poter imporre delle imposte in misura corretta sui produttori: per farlo servirebbe un sistema quantitativo per calcolare le esternalità in anticipo, cosa altamente improbabile se l’elemento principale dei dispositivi con I.A. è l’imprevedibilità[50].

  1. La funzione di giustizia e la deterrenza.

A questo punto della trattazione conviene riflettere sulla natura dell’istituto della responsabilità civile, analizzandone le precipue funzioni per scoprirne meglio le peculiarità. Rifacendosi al notorio studio di Calabresi[51], le funzioni macroscopicamente rilevabili sono quella di giustizia e quella di riduzione dei costi, in ordine di importanza: la prima, che neppure si configura ontologicamente come funzione[52], è la più difficile da individuare e definire in termini assoluti, mentre la seconda risulta essere la funzione principale della responsabilità civile stessa, tripartendosi in relazione al costo che si intende ridurre, se primario, secondario o terziario[53]. Ritornando alla prima funzione, essa risulta essere la più sfuggevole e paradossalmente meno definibile dell’ingiustizia[54], percepibile nelle sue istanze più vivide nei sistemi vigenti: è per questo motivo che si suole elencare genericamente i principi di giustizia, senza tipizzarli, in modo tale da poter declinarli nei vari casi concreti[55]. Tali due funzioni non sono tuttavia in contrasto l’una con l’altra, ma sono anzi intercambiabili e declinabili l’una attraverso l’altra: un sistema può essere ingiusto, ma efficiente per la riduzione dei costi; allo stesso tempo un sistema può essere giusto, ma non riuscire ad allocare efficientemente i costi relativi alla giustizia del sistema. A dire il vero, addirittura, la funzione di giustizia si pone su un piano completamente diverso rispetto a quella di riduzione dei costi, trattandosi appunto più di una congerie di principi cardine, che risultano genericamente intesi come invalicabili[56]. La responsabilità civile è difatti un istituto giuridico che risente della concezione di giustizia correttiva che si innerva nei valori della società stessa di riferimento[57]. Il contesto morale della società stessa tuttavia non si fonda solo su ciò che appare giusto in altri campi del diritto[58], ma esige anche una certa coerenza con il complesso delle disposizioni normative e dei loro effetti. La giustizia in ogni sua sfumatura tuttavia non è solo un problema di coerenza: essa deve essere il discrimen tra ciò che è considerato tutelabile dall’ordinamento in ogni sua forma e ciò che invece è esterno a questo, e dunque immeritevole di tutela. È per questo che, nell’estrema relatività del concetto di giustizia, si deve trovare un elemento oggettivo che faccia propendere per un criterio assoluto di valutazione. Tale natura oggettiva del concetto di giustizia tuttavia si sviluppa solo con il tempo: solo con questo fattore si possono stigmatizzare come immorali o ingiusti atti che causano dei danni, mentre altri possono essere considerati legittimi e meritevoli di tutela[59]. Si può dunque dire che essa si compone di due aspetti, riconducibili entrambi al substrato morale sociale: la coerenza, come abbiamo già detto, e il senso storico, inteso come sedimentazione e cristallizzazione dei principi alla base dell’ordinamento stesso[60]. La giustizia dunque non è un qualcosa di solido e concreto, ma è il fluidificante del sistema, priva di una sua forma propria ma presente proprio perché innervata in ogni meandro del sistema giuridico di riferimento. È per tale motivo che la funzione più concreta e facilmente definibile, quella di riduzione dei costi, vede al proprio interno i germi stessi del limite di giustizia, che ne circoscrive criteri, campo applicativo ed effettività[61]. Nello specifico caso della responsabilità civile, la giustizia assume una natura principalmente correttiva, riguardando rapporti volontari non rispettati o involontari in cui bisogna riparare il danno[62]: ecco che si può notare come la funzione di giustizia si colleghi a quella di riduzione dei costi, declinandosi in essa come principio cardinale dell’istituto della responsabilità stessa.

La funzione di riduzione dei costi infatti, che possiede il proprio orizzonte teleologico nel provvedere alla collocazione, ex ante ed ex post, del danno una volta materializzatosi, vede una possibile tripartizione proprio in virtù delle diverse anime della responsabilità civile. Si tratta infatti delle tre canoniche funzioni attribuite ad un regime di responsabilità che debba ridurre i costi di un incidente: in primis, vi è la funzione riparatoria[63]che consiste nell’apprestare il risarcimento a chi abbia sofferto un danno  come conseguenza di un’attività  antigiuridica altrui; in secundis, quella di deterrenza, che prevede che il regime di responsabilità disincentivi sufficientemente la ripetizione della condotta del danneggiante, considerato molto spesso non come singolo, ma come esponente di una più ampia categoria e schiera di soggetti esercenti un’attività potenzialmente pericolosa; in tertiis, accanto a tali due funzioni, si presenta un residuo storico, come quello della funzione punitiva, intesa come applicazione su un soggetto, che si è macchiato di illeciti particolarmente riprovevoli, di norme volte a punire il colpevole, cosa che può tornare utile ai fini di deterrenza[64]. Fermo restando che la terza funzione vede ancora difficoltà nell’affermarsi pienamente in Italia ed il suo utilizzo è discusso in molte altre parti del mondo[65], la prima e la seconda funzione fanno presagire che si sia ritenuto che l’istituto della responsabilità civile sia chiamato a fungere da mero strumento nelle mani del legislatore: non si può prescindere difatti da norme che ripristino la situazione quo anteattraverso il pagamento della somma di denaro necessaria per uguagliare la perdita economica subita dal danneggiato, urtando proprio con fondamentali esigenze di giustizia lasciare il danneggiato da un fatto illecito commesso da un terzo senza alcuna forma di aiuto economico. Il problema è, parlando di funzione riparatoria, quello di determinare il giusto livello di risarcimento offerto al danneggiato, non creando invece i fenomeni di ipo- e iper-compensazione[66], deleteri dal punto di vista della efficiente allocazione dei costi. Si può parlare di una situazione simile anche per quanto riguarda la deterrenza, che può essere eccessiva o insufficiente[67], causando tuttavia costi sociali particolarmente alti.

Quello che interessa qui esaminare è dunque il concetto di giustizia correttiva, che impone una marcata attenzione alla legittimazione a non subire danno da soggetti terzi da parte del legittimato attivo[68]. È evidente che in una tale ottica chi danneggia, irragionevolmente preferendo i propri interessi a discapito del danneggiato, deve riequilibrare la situazione ricompensandolo[69]: ecco che risarcimento e prevenzione sono solo un prodotto incidentale dell’illecito aquiliano e la liquidazione diventa giuridicamente corretta solamente quando questo sia attribuibile alla colpa di un terzo, col solo fine di ripristinare lo statuseconomico precedente al sinistro[70]. Alla luce di vari problemi derivanti dai meccanismi assicurativi, che snaturano la logica normale dell’allocazione dei costi di risarcimento[71], la lettura dell’illecito aquiliano diventa più favorevole a minimizzare il costo dei sinistri, compresi i costi per evitarli[72]. Ecco che la funzione riparatoria (e conseguentemente, in parte, anche quella punitiva) lascia spazio a dei nuovi obiettivi per la responsabilità civile, ossia incentivare le parti ad evitare tutti i sinistri evitabili[73], coincidenti con la deterrenza dunque, e allocare efficientemente il rischio degli incidenti non evitabili, elemento che costituisce il contenuto precipuo della funzione riparatoria, riducendo peraltro i costi terziari del sistema.  Gli obiettivi di deterrenza tuttavia possono essere distorti dalla presenza dell’assicurazione per responsabilità civile, qualora gli assicuratori non classifichino adeguatamente i rischi e le fasce di assicurati con un corretto premio assicurativo: questo perché si richiede di pagare agli assicurati o di più o di meno rispetto al premio assicurativo che garantirebbe una giusta copertura del rischio[74]. Si è già visto comunque che problemi di corretta allocazione dei costi sociali si manifestano anche per la funzione di riparazione, proprio perché il regime di responsabilità civile, qualunque esso sia, non consente un giusto frazionamento dei costi, incidendo invece sui meccanismi di mercato e creando disincentivi sia che per i produttori  per i consumatori[75]. Ecco spiegato dunque il motivo per cui è preferibile esaminare in modo più approfondito la funzione di prevenzione dei danni, per cui la responsabilità civile sembra avere una funzionalità maggiore in un settore come quello dei dispositivi con I.A.[76]: le regole di responsabilità civile, richiedendo di pagare interamente i danni provocati, difatti creano incentivi economici per i danneggianti ad adoperarsi per adottare un livello di precauzione che sia funzionale alla diminuzione di gravità e numero di sinistri[77]. Mediante tale meccanismo si dovrebbe teoricamente ottenere il livello ottimale, efficiente economicamente, di prevenzione dei sinistri in dato momento storico[78]. Un altro punto a favore di un sistema di prevenzione è dato dal fatto che un regime di responsabilità che si fondi solo sulla funzione riparatoria sarebbe scoperto dal punto di vista della deterrenza, aumentando incredibilmente i danni ed il numero di incidenti[79]. Si tenga inoltre conto che, oltre alle considerazioni quantitative, fortemente negative verso qualsiasi regime di responsabilità, scaturite dall’analisi statica operata precedentemente[80], un problema enorme del moderno sistema di responsabilità civile è quello della quantificazione dei danni immateriali, quasi sempre liquidati in modo inesatto, producendo inefficienza dal punto di vista della funzione riparatoria[81]. La soluzione dunque risulta essere quella di modulare i rapporti tra le finalità di deterrenza e compensazione, affinchè non si indeboliscano a vicenda nella promozione di un risarcimento equo, coerente con i valori afferenti la persona ed economicamente efficiente. La responsabilità civile infatti non può imporre due diversi livelli risarcitori per rispondere alle conflittuali esigenze prima prospettate, ma anzi il coordinamento dei diversi meccanismi potrebbe promuovere la corretta allocazione di tali costi con una spesa amministrativa contenuta[82], con un rilevante guadagno in termini di giustizia ed equità.

Non rimane dunque che da esaminare più a fondo lo strumento della deterrenza nelle sue varie possibili declinazioni normative. Essa, denominata prevenzione da Calabresi[83], corrisponde allo strumento principale di cui la società può servirsi per ridurre i costi degli incidenti, tramite il quale si scoraggiano attività pericolose e se ne sostituiscono di più sicure, oppure si suggeriscono metodi più sicuri per svolgere la stessa attività. Tuttavia l’impiego di questo strumento non è dovuto al fatto che si debbano vietare tutte le attività pericolose aprioristicamente, giacchè costerebbero alla società, in termini di beneficio sociale, più di quanto essa non verrebbe a risparmiare attraverso la prevenzione del costo degli incidenti, o costi sociali. Nella ricerca dunque di modalità capaci di regolare adeguatamente tale difficile equilibrio tra divieto e permesso condizionato, si possono individuare due metodologie per prendere tali decisioni: il primo è costituito dalla prevenzione specifica, mentre il secondo dalla prevenzione generale[84]. Il secondo metodo presuppone il tentativo di determinare il costo degli incidenti che certe attività causano, e lasciare poi che sia il mercato a deciderne grado di opportunità e le modalità: tale procedura non prevede alcun intervento politico, giacchè significa considerare il costo degli incidenti come uno dei tanti costi che debbano essere affrontati in ogni attività. La prevenzione generale tenta di costringere gli individui a considerare il costo degli incidenti al momento della scelta di una attività, mirando a lasciare al libero mercato il compito di effettuare le scelte. Ciò significa che si lascerebbe ai meccanismi di mercato valutare la qualità e la quantità attesa di incidenti  relative ad una determinata attività, cosa che presupporrebbe l’inerzia del legislatore[85]: per i motivi che si dicevano precedentemente a proposito della non regolamentazione nell’analisi statica[86], vi sarebbero sicuramente dei meccanismi che consentirebbero di attenuare l’impatto dei costi sostenuti esclusivamente dai consumatori e si svilupperebbero nel medio periodo, ma comunque si verrebbe meno ai principi cardine della giustizia correttiva per un rilevante lasso di tempo, che costituiscono il quadro entro il quale anche la prevenzione generale opera. E perciò dunque da scartare l’ipotesi di una non regolamentazione cui corrispondesse la totale «mercatizzazione» del danno[87].

L’altro metodo è invece quello della prevenzione specifica, o collettiva, che consente che tutte le decisioni concernenti i costi degli incidenti siano prese collettivamente, attraverso un processo legislativo politico. Vantaggi e costi di un’attività andrebbero esaminati nel loro insieme, e sulla base di tale esame si dovrebbe giungere ad una decisione collettiva sia sulla misura in cui ciascuna attività potrà svolgersi, sia sulle modalità di esecuzione di ciascuna di esse. La prevenzione specifica dunque può far ricorso al mercato, ma riferendosene tuttavia soltanto come base per una più ampia valutazione a livello collettivo. La prevenzione specifica non ha dunque una veste precisa, ma assume profili diversi, presentandosi in una forma relativamente pura nelle decisioni dirette a violare tout-court certi atti o certe attività, giustificando il proprio motivo di esistenza per cinque presupposti di base: 1) nessuno sa ciò che più gli conviene, portando ad una irrazionalità individuale che può invece essere sopperita da una decisione collettiva; 2) gli incidenti comportano costi che non sono monetizzabili precisamente, in particolar modo in relazione ai danni immateriali; 3) i giudizi di valore individuali sono, stando alla prima condizione, irrazionali in modo pluralistico e diffuso, che però non possono essere categorizzati come costi o vantaggi, la cui presenza però impone il ricorso alla prevenzione specifica; 4) la teoria della distribuzione delle risorse presenta limiti intrinseci e plurimi, che afferiscono anche alla sfera della prevenzione generale; 5) la prevenzione generale non può influire efficacemente su alcune categorie di attività, soprattutto sugli atti, giacchè il giudizio individuale, anche se corretto dal punto di vista personale, avrà per oggetto solo gli aspetti più generali della loro condotta e non i singoli atti[88].

In conclusione dunque il meccanismo di prevenzione specifica sembra il più affidabile, sia dal punto di vista economico, perché consente di internalizzare i costi sociali sui produttori, che da quello meramente giuridico, rispondendo infatti alle istanze di giustizia correttiva che provengono dal quadro generale dell’ordinamento nel suo complesso e dall’istituto della responsabilità civile in modo più specifico, manifestandosi come principale possibile candidato al ruolo di rimedio ex ante. Chiaramente, come è già stato detto, la mera deterrenza non potrà regolare a lungo il settore in questione da sola, necessitando dell’effettività di norme ex post: ecco che la prospettiva, anche nell’ottica di concertazione tra funzione di deterrenza e di risarcimento, è quella di costruire un sistema misto, composto da un regime ex ante di prevenzione specifica, da un regime ex post di responsabilità oggettiva depotenziata in una serie di elementi focali (onere di prova, termine di prescrizione o di decadenza, regime di presunzioni), nonché la presenza di un fondo di solidarietà per i danneggiati nel caso in cui venga riconosciuto che il nesso di causalità materiale tra comportamento del soggetto e evento dannoso sia dovuto a caso fortuito. In tale ultimo caso difatti dovrebbe essere la collettività a vedersi gravata dei costi derivanti da tale danno, aprendosi tuttavia il problema della categoria individuabile fiscalmente per costituire tale fondo: tale scelta però è addebitabile ai principi direttivi della condotta legislativa, riconducendosi perciò a questioni di politica del diritto.


Bibliografia:

[1]Si parla di analisi statica e di analisi dinamica in economia quando si vuole intendere due tipi di analisi che consentano di guardare ad un sistema nel suo complesso e nella sua possibile evoluzione: con la prima difatti si va a guardare un sistema statico, in cui le grandezze economiche rilevanti sono costanti nel tempo, mentre con la seconda si analizza un sistema dinamico nel caso in cui le grandezze rilevanti sono viceversa variabili nel tempo. Si tratta di due approcci diversi, utili in combinazione però, giacchè riescono a dare un quadro completo della situazione economica complessiva: in parole povere esse sono due facce della stessa medaglia, poiché con l’analisi statica si fotografa un istante preciso del sistema economico, mentre con quella dinamica si guardano le variazioni possibili dovute a fattori temporali (si vedano N. Kaldor, Essays on economic stability and growth, Gerald Duckworth, Londra, 1960, pp. 24-46 (trad. it. Saggi sulla stabilità economica e lo sviluppo, Torino 1965); J. R. Hicks, Capital and growth, Oxford University Press, Oxford, 1965, pp. 10-22 (trad. it. Capitale e sviluppo, Milano 1971)). Nell’analisi economica del diritto l’analisi statica viene chiamata analisi positiva, poiché si preoccupa di studiare il miglior modo possibile ex ante di redigere una norma, basandosi su delle stime delle conseguenze cui essa può portare, mentre l’analisi dinamica corrisponde alla funzione di analizzare la fase dell’implementazione, sempre nell’ottica di assicurare l’ottimo economico e sociale, ma in fase applicativa della norma, quindi ex post.

[2]Si ricordi che la legge della domanda e dell’offerta porta all’equilibrio di mercato, definito come condizione di stabilità. La relazione tra domanda ed offerta, definite come forze di mercato, agisce sul prezzo: il mercato è in equilibro quando la quantità che i consumatori desiderano acquistare a un dato prezzo è uguale alla quantità che i produttori intendono vendere allo stesso prezzo. Tale prezzo è il cosiddetto prezzo di equilibrio, o di mercato, mentre la quantità corrispondente è la quantità di equilibrio: a tale prezzo i consumatori e i produttori, definibili come soggetti attivi del mercato, riescono ad essere soddisfatti pienamente. L’interazione tra compratori e venditori dunque spinge automaticamente il prezzo di mercato verso il livello di equilibrio: il prezzo di ogni dato bene tende naturalmente ad aggiustarsi in modo tale da portare in equilibrio la quantità offerta e quella domandata del bene in questione. Quest’ultimo meccanismo è definibile come legge della domanda e dell’offerta. (N. G. Mankiw, M. P. Taylor, Principi di economia, VI ed. it., Zanichelli, Bologna, 2015, pp. 52-62)

[3]Si veda la spiegazione in termini matematici offerta da E. Cartwright, R. H. Frank, Microeconomia, McGraw Hill Education, VI ed., 2014, pp. 45-53.

[4]Si veda E. Cartwright, R. H. Frank, Microeconomia, McGraw Hill Education, VI ed., 2014, pp. 54-61.

[5]Si veda E. Cartwright, R. H. Frank, op. cit., pp. 62-68.

[6]Si vedano a mero titolo di esempio E. Cartwright, R. H. Frank,Microeconomia, McGraw Hill Education, VI ed., 2014, pp. 168-219; N. G. Mankiw, M. P. Taylor, Principi di economia, VI ed. it., Zanichelli, Bologna, 2015, pp. 114-187.

[7]Si veda il quadro generale di spiegazione della responsabilità civile che ne dà S. Shavell, Analisi economica del diritto, Giappichelli editore, Torino, 2007, pp. 56-69.

[8]Ibidem.

[9]Se tuttavia il risarcimento è quantitativamente maggiore rispetto alla somma di danno patito e spese legali, il prezzo di equilibrio post-regolazione sarà forzatamente maggiore rispetto al prezzo ottimo in concorrenza perfetta: ciò si può vedere dal fatto che le aziende venderanno ad un prezzo più alto sapendo di dover pagare costi più alti, spostando l’equilibrio dal lato del prezzo in modo tale da diminuire il surplus totale, giacchè la disponibilità a pagare dei consumatori, sapendo invece di poter subire un danno, diminuirà, provocando una frizione di mercato. In termini matematici, la situazione generalmente intesa è rappresentabile così:   

Se tuttavia andiamo a prendere il caso in esame all’inizio della nota, in cui il risarcimento è maggiore alla somma di danno subito, allora la formula è rappresentabile altresì:

  se 

Come si può vedere il prezzo post-regolazione sarà sicuramente più alto rispetto a quello ante-regolazione, cosa che è deleteria per l’equilibrio di mercato, facendo salire il prezzo di equilibrio in effetto aggregato.

[10]Si vedano principalmente S. Shavell, Analisi economica del diritto, Giappichelli editore, Torino, 2007, pp. 50-56; A. Mitchell Polinsky, S. Shavell, Handbook of Law and Economics, Vol. I, 27, Elsevier, Amsterdam, 2007, pp. 139-182; G. Alpa, P. Chiassoni, A. Pericu, F. Pulitini, S. Rodotà, F. Romani, Analisi economica del diritto privato, Giuffrè editore, Milano, 1998, parte IV, pp. 231-316.

[11]Ciò è dovuto principalmente a spese per perizie più approfondite, che risultano decisive in un processo in cui il danneggiato, non potendo fruire di alleggerimenti dell’onere di prova, deve dimostrare la colpevolezza del presunto danneggiante. Si immagini dunque in un settore come quello dell’intelligenza artificiale, caratterizzato da una complessità notevole dal punto di vista tecnologico, cosa possa comportare dimostrare la colpevolezza del produttore, o chi per lui, dal punto di vista economico.

[12]Si ricordi che in un regime di responsabilità per colpa puro, privo dunque dei meccanismi delle presunzioni, presenti invece nel regime di responsabilità oggettiva, il regime probatorio è quello ordinario, che prevede l’onere di dimostrare difetto, evento dannoso e nesso causale relativo, senza alleggerimenti, tutto in capo al danneggiato.

[13]Queste considerazioni vengono fatte non considerando né il prezzo ottimo né il danno subito, che è dato dal prodotto dell’ammontare del danno, della probabilità di subirlo e della quantità del bene, che sono tutte variabili relativizzabili per singolo bene: ciò che qui interessa è di guardare alle variabili che possono cambiare in relazione al tipo di responsabilità vigente, che sono appunto spese legali e prospettive di risarcimento. Posto inoltre che il risarcimento sia sempre quantificato in modo esatto, è inoltre utile scorporare dall’ultimo fattore preso in considerazione nella formula post-regolazione la variabile che intendiamo analizzare e che risulta utile ai fini della presente ricerca, ossia la probabilità di vincere la causa, v, da quella che è appunto presa come mero coefficiente, cioè il quantitativo del risarcimento, stabilito dal giudice caso per caso in relazione ai danni subiti.

[14]Si veda S. Shavell, Analisi economica del diritto, Giappichelli editore, Torino, 2007, pp. 56-61.

[15]Si veda S. Shavell, op. cit., pp. 62-63.

[16]Il condizionale qui funge da indicatore della situazione: infatti tutto questo ragionamento dipende dall’elasticità della curva di domanda, decisiva nel rilevare gli effetti che eventualmente possono verificarsi ad una variazione dal lato dell’offerta.

[17]Se si assume che nella responsabilità oggettiva, , e , allora consegue che , quindi la funzione di domanda rimane invariata.

[18]Si veda S. Shavell, op. cit., pp. 64-66.

[19]Si pensi ad esempio ai danni ambientali, oppure ai possibili danni derivante da malfunzionamento di nuove tecnologie, sempre più pericolose per l’intera umanità. Questi sono solo alcuni esempi delle possibili lacune che possono essere lasciate all’autoregolazione del mercato, che sicuramente nel lungo periodo vi sopperirà, sempre se vi possa essere più il lungo periodo con delle tecnologie sempre più capaci di distruggere l’umanità nel breve periodo. (G. Calabresi, A. Douglas Melamed, Property Rules, Liability Rules and Inalienability: One View of the Cathedral, 85 Harvard Law Review1089, 1089 (1972); J. Maynard Keynes, A Tract on Monetary Reform,MacMillan, Londra,1923, cap. III)

[20]Le esternalità positive infatti sono costituite principalmente da un miglioramento generale della vita dovuto ad una possibile quarta rivoluzione industriale, con tutti i vantaggi che essa può comportare (a mero titolo di esempio, nuovi servizi per disabili, che potrebbero muoversi e compiere azioni che altrimenti da soli non potrebbero nemmeno poter pensare di fare: si prenda l’ipotesi delle automobili senza guidatore infatti). Si pensa universalmente, nonostante le molte critiche avanzate in passato riguardo a tale argomento, che i benefici sociali dovuti ad una quarta rivoluzione industriale, definita digitalizzazione, sarebbero infinitamente superiori ai costi sociali che tale rivoluzione stessa potrebbe comportare (si veda in tal caso McKinsey & Company, Disruptive techinologies: Advances that will transform life, business, and the global economy, May 2013, pp. 17-18).

[21]Si veda a proposito A. Schotter, Microeconomia, IV ed., Giappichelli editore, Torino, 2009, pp. 565-569. Delle esternalità si parlerà in modo più approfondito nel paragrafo 3.

[22]In termini matematici si direbbe che le spese legali superano il prodotto tra il risarcimento e la probabilità di vincere la causa, da cui consegue appunto l’esistenza o meno del risarcimento stesso:

In un caso del genere la regolamentazione non può che essere dannosa e scoraggia la domanda ancora di più che dell’assenza di regolamentazione relativa a responsabilità civile, quindi addirittura senza avere prospettive di risarcimento.

[23]A mero titolo di esempio, un mercato non regolato tramite responsabilità oggettiva diede origine ai problemi legati alla talidomide e ai conseguenti danni lungolatenti. Il legislatore europeo, come già si diceva, ha agito anche per evitare che si potessero verificare in futuro episodi del genere, spinto da uno spirito paternalistico, ma anche da un’opinione pubblica scandalizzata per gli avvenimenti e per la facilità con cui erano successi.

[24]Il costo di produrre un prodotto in un mercato deregolamentato è chiaramente, ictu oculi, è minore rispetto al costo corrispondente in un mercato in cui gravano invece obblighi stringenti di sicurezza, test di qualità, ecc., rappresentando la situazione in tale modo:

Ciò banalmente significa che un produttore vede aumentare il costo di produzione dei propri prodotti, spostando la curva di offerta conseguentemente.

[25]E’difatti lampante che un produttore che deve investire in sicurezza e migliorie varie ai prodotti, perchè non risultino difettosi, è costretto, a meno di grandi economie di scala, per prendere l’esempio più utile alla presente ricerca, a spostare investimenti dal reparto R&Da quello di sicurezza, causando un grave contraccolpo in termini di capacità innovativa dell’impresa (H. Chesbrough,Open Innovation: Researching a New Paradigm, Oxford University Press, Oxford, 2006, pp. 110-116).

[26]Si veda M. R. Calo, Open Robotics, 70 Maryland Law Review101, 142-145 (2011, rivista nel 2015).

[27]A mero titolo di esempio, si possono prendere per approfondire l’argomento S. Razeen, L’ordoliberalismo e il mercato sociale. Il liberalismo che salvò la Germania, in IBL Occasional Paper, nº 89, Istituto Bruno Leoni, 10 dicembre 2012; F. Martucci, C. Mongouachon, La Constitution èconomique (En hommage au Professeur Guy Carcassonne), Edition La Mémoire du Droit, 2015. Si ricordi che l’ordoliberismo, o ordoliberalismo è una corrente socioeconomica liberale che interviene nell’ambito sociale per assicurare una equa dignità e trattamento di fronte a legge e istituzioni, nonché per rendere meritocratico il mercato. Corrente apparsa in Germania grazie alla scuola economica di Friburgo a partire dagli anni ’30 del secolo scorso in risposta alla profonda crisi economica e politica che attanagliava il paese in quel periodo, esso ha dato origine al concetto di economia sociale di mercato, inteso come tutela progressista dei meccanismi letali di mercato.

[28]I prodotti con intelligenza artificiale sono infatti citati spesso come beni sostituibili (si veda a mero titolo di esempio A. Schotter,Microeconomia, IV ed., Giappichelli editore, Torino, 2009, pp. 66-68).

[29]  Si veda S. Shavell, Analisi economica del diritto, Giappichelli editore, Torino, 2007, pp. 52-53.

[30]Si vedano principalmente S. Shavell, Analisi economica del diritto, Giappichelli editore, Torino, 2007, pp. 50-69; A. Mitchell Polinsky, S. Shavell, Handbook of Law and Economics, Vol. I, 27, Elsevier, Amsterdam, 2007, pp. 139-182, nonché G. Alpa, P. Chiassoni, A. Pericu, F. Pulitini, S. Rodotà, F. Romani, Analisi economica del diritto privato, Giuffrè editore, Milano, 1998, parte IV, pp. 231-316.

[31]Si veda S. Shavell, op. cit., ibidem.

[32]Si veda a mero titolo di esempio, ma vi sono moltissime altre fonti del genere, questo articolo pubblicato su IQUII il 10 agosto 2017, in cui si sottolinea l’importanza economica del settore, ma altresì il bisogno di sovvenzionamenti per una crescita sostenuta continui (https://iquii.com/2017/08/10/intelligenza-artificiale-trend-opportunita/).

[33]Questa è infatti l’unica funzione che consente di mettere in relazione diretta le equazioni e le funzioni di riferimento nell’analisi statica, tutte riferite alla quantità di beni prodotti, alla quantità di lavoro e tecnologia necessari alla loro produzione. Si tratta dunque dello strumento più semplice per analizzare dal lato dell’offerta il comportamento dei produttori in seguito a shock sull’offerta derivanti dal mercato (si veda A. Schotter, Microeconomia, IV ed., Giappichelli editore, Torino, 2009, pp. 169-170).

[34]Si veda per una spiegazione più approfondita N. G. Mankiw, M. P. Taylor, Principi di economia, VI ed. it., Zanichelli, Bologna, 2015, pp. 127-129.

[35]Come è ampiamente sottolineato in tutti i considerando introduttivi della direttiva 85/374/CEE peraltro, che è appunto prodotta con il fine di garantire le esigenze di un mercato libero all’interno dell’Unione Europea.

[36]Si richiami anche stavolta il fine precipuo della direttiva 85/374/CEE, che cerca un contemperamento tra le esigenze del mercato libero e di uguaglianza e solidarietà sociale proprie di uno stato di benessere. Tale contemperamento è molto difficile da raggiungere se non si considerano le conseguenze economiche delle norme che si vanno ad approvare, e soprattutto se non si considerano gli effetti dettati dall’evoluzione dell’applicazione della direttiva in una realtà dinamica: di questo il legislatore si è mostrato molto attento effettivamente, esaminando gli effetti con varie relazioni (II, III, IV relazione, studio Lovell’s), la cui ultima, la IV, ha proprio affermato l’obsolescenza della direttiva al mercato odierno. L’Unione Europea tuttavia, ad oggi, non ha modificato la disciplina riguardante i danni da prodotti difettosi, né men che meno ne ha introdotta una per quanto riguarda il mondo dell’I.A., pur chiedendo il Parlamento un impulso da parte della Commissione in tal senso (risoluzione 16/02/2017 del Parlamento UE), ad oggi rimasta però inascoltata.

[37]Si tratta di un principio basilare, quasi da considerare un assioma matematico, e perciò non si addurranno, come non se ne sono addotti, argomenti di spiegazione in proposito.

[38]Tale principio si riferisce alla teoria dell’educazione esplicata dal filosofo americano John Dewey, che ne spiega le condizioni e gli effetti nella sua opera My Pedagogic Creed, 54 School Journal70, 1897, pp. 77-80. Il filosofo pragmatista americano inoltre impone al lettore di non considerarlo come un principio teorico, ma come invece un dettame pratico e concreto, utilizzabile nel mondo quotidiano, cosa che appunto nella presente analisi si sta facendo.

[39]Questa affermazione è dimostrabile intuitivamente tramite il seguente ragionamento: producendo più esemplari del prodotto, ho più possibilità di compiere errori che poi condurranno ad un difetto e ad un danno per il consumatore, con conseguente danno.

[40]Si deve comunque dire che in termini assoluti il numero di prodotti difettosi potrebbe non scendere: questo fenomeno tuttavia è totalmente fisiologico. Se si produce di più e il quantitativo totale di prodotti è infatti maggiore, è chiaro allo stesso modo che i prodotti difettosi potrebbero aumentare numericamente parlando, ma il tasso di difettosità invece scenderebbe, secondo il principio suddetto. (John Dewey, op. cit., p. 81)

[41]Si tratta dei basilari meccanismi di funzionamento dei normali mercati: in microeconomia infatti influire sulla variabile prezzo, per i più vari motivi (preferenze del consumatore, regimi di responsabilità, reddito, e molti altri ancora) porta le curve a spostarsi di conseguenza, causando variazioni sulla quantità di equilibrio. Si veda per approfondimenti N. G. Mankiw, M. P. Taylor, Principi di economia, VI ed. it., Zanichelli, Bologna, 2015, pp. 40-61; E. Cartwright, R. H. Frank, Microeconomia, McGraw Hill Education, VI ed., 2014, pp. 54-86.

[42]Si veda infatti K. J. Arrow, The Economic implications of Learning by Doing, 101 Technical Report1, 5-13, December 1961, dove appunto si analizza l’impatto che ha la decrescita produttiva sul principio del learning by doing, reso in operativo appunto.

[43]Questo ragionamento porta a dire che la condizione di esistenza dell’intera impalcatura del learning by doingpuò avverarsi solo con:

altrimenti presentandosi le conseguenze di cui sopra parlavamo.

[44]Si tenga conto anche che i colossi asiatici e comunque extra-europei possono stroncare la concorrenza sul mercato europeo, rendendo urgente una disciplina che sia sensibile anche a tali esigenze. La concorrenza al ribasso infatti si può vincere solo con l’innovazione,mantrache si ripetono tutti i grandi economisti mondiali, finora poco assecondato nel settore dell’I.A. Si veda a tal proposito, e per approfondire l’argomento relativo all’innovazione, Clayton M. Christensen, Il dilemma dell’innovatore. Come le nuove tecnologie possono estromettere dal mercato le grandi aziende, Editore Franco Angeli, Azienda Moderna, Milano, 2016.

[45]Bisogna comunque notare che gli shock tecnologici principalmente scaturiscono casualmente dal settore stesso o esogenamente, dunque essendo causati solo in piccola parte dai repartiR&Ddelle imprese. Ciò non toglie che comunque le considerazioni qui fatte siano vere e da tenere ben in conto quando si parla del settore dell’I.A. (H. Chesbrough, Open Innovation: Researching a New Paradigm, Oxford University Press, Oxford, 2006, pp. 10-21).

[46]Come anche sottolineato da M. R. Calo, Open Robotics, 70 Maryland Law Review101, 130-131 (2011, rivista nel 2015).

[47]Si veda A. Mitchell Polinsky, S. Shavell, Handbook of Law and Economics, Vol. I, 27, Elsevier, Amsterdam, 2007, pp. 139-140.

[48]Si veda M. R. Calo, Open Robotics, 70 Maryland Law Review101, 142-145 (2011, rivista nel 2015).

[49]Eventuali danni a terzi infatti verrebbero sostenuti dai consumatori stessi in un eventuale contenzioso, portando ad un’allocazione inefficiente dei costi: il dispositivo con I.A. che ha causato danni dunque si configurerebbe come elemento di forte disallocazione (ibidem).

[50]Qui si possono richiamare le critiche mosse da Ronald Coase all’approccio pigouviano. Innanzitutto si parla di natura simmetrica della esternalità, che comporta che ad un riconoscimento giuridico di un’attività susseguano sempre conseguenze dal punto di vista dei terzi (ad esempio, riconoscere l’attività di un’impresa nel settore chimico comporta l’esternalità derivante dalle immissioni nei terreni vicini, che causano danni ai terzi che vivono e lavorano lì): il tassare tali attività o il prevedere un eventuale risarcimento del danno può essere dunque una soluzione alternativa e maggiormente efficiente del completo divieto, che porterebbe ad azzerare i benefici sociali derivanti da essa. L’assenza di costi di transazione è difatti il miglior incentivo ad una regolazione privata del problema, ma, realisticamente parlando, non sarà mai possibile azzerarli, ed è per questo motivo che il teorema di Coase il più delle volte è inapplicabile. Il problema principale della teoria pigouviana è però il rilevamento dei costi di valutazione e del pagamento dei danni e delle tasse, rimedi esperibili dal legislatore per internalizzare i costi sociali di un’attività: il policy maker difatti non avrà mai la piena contezza dei danni causati dall’attività permessa e per tale motivo non riuscirà ad imporre dei rimedi veramente efficaci per una corretta internalizzazione dei costi sociali sul danneggiante (The Problem of Social Cost, 3J. Law and Econ. 1, 1-65 (1960), in R. Coase, The Firm, the Market and the Law, Chicago e Londra (1988)). Come rilevato da Shavell e Cooter (S. Shavell, Liability for Harm versus Regulation of Safety, 13 J. Legal Stud. 357, 357 e ss. (1984); R. Cooter, Prices and Sanctions, 84 Col. L. Rev. 1523, 1532-1545 (1984)), il meccanismo di responsabilità civile rimane preferibile alla regolazione diretta in virtù sia di una migliore conoscenza delle parti private dei costi sociali, che scaturiscono dall’attività in giudizio, che dei minori costi amministrativi richiesti nella loro internalizzazione.

[51]Si veda a proposito G. Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, Analisi economico-giuridica, Giuffrè editore, Milano, 1975, p. 47.

[52]È difatti considerata come un limite a ciò che può essere fatto per ridurre i costi, ossia alla funzione di riduzione dei costi degli incidenti. In tale prospettiva la giustizia diviene la prova decisiva che ogni sistema di responsabilità civile deve superare, che esige che tutte le molteplici funzioni di cui non ci occupiamo espressamente sotto la voce riduzione dei costi siano trattate dal modello proposto (G. Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, Analisi economico-giuridica, Giuffrè editore, Milano, 1975, pp. 47-48).

[53]Si veda G. Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, Analisi economico-giuridica. Giuffrè editore, Milano, 1975, pp. 50-51.

[54]Si pensi che il noto studioso E. N. Cahn, The sense of Injustice, Bloomington, Indiana University Press, 1964, ha osservato come sia molto più semplice individuare modelli di ingiustizia che di giustizia; è molto più facile difatti affermare che certi metodi, o certi risultati, sono ingiusti, che non sostenere che certe strutture sono giuste.

[55]Si veda sempre G. Calabresi, op. cit., p. 48.

[56]Si veda G. Calabresi, op. cit., pp. 51-52.

[57]Si ricordi che una volta che si è riconosciuto un titolo di diritto, con una conseguente legittimazione formale, poi deve essere garantito anche l’esercizio effettivo di tale diritto. La responsabilità civile ha perciò il compito di rendere effettivi i reclami legittimati dei danneggiati ed è per questo che, poiché è una scelta della società e si ricollega al principio di giustizia correttiva, necessita di un intervento statale, in quanto lo Stato non deve solo riconoscere la legittimazione, ma anche scegliere come tutelarla. Ecco che per rendere effettivo un sistema di giustizia vi deve essere una concretizzazione pratica dei valori che vi stanno alla base (G. Calabresi, A. D. Melamed,Property Rules, Liability Rules and Inalienability: One View of the Cathedral, 85 Harvard Law Review 1089, 1089-1090 (1972)).

[58]Si veda S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Giuffrè editore, Milano, 1967, pp. 31-32.

[59]Si veda G. Calabresi, op. cit., pp. 377-379.

[60]Ibidem.

[61]Si veda G. Calabresi, op. cit., pp. 380-382.

[62]Si veda G. Calabresi, op. cit., pp. 399-402.

[63]Tale definizione viene altresì spiegata come compensatoria, come afferma Giulio Ponzanelli, La responsabilità civile, Profili di diritto comparato, Il Mulino, Bologna, 1992, pp. 25 e ss.

[64]Bisogna dire che questa tripartizione è utile ai fini della presente ricerca per essere sufficientemente analitica e schematica da poter essere incastonata nella teoria calabresiana della responsabilità civile, ma non vede comunque concordia in dottrina, né negli USA, dove è nata, né nell’Europa continentale. Si veda infatti M. Treblock, The future of Tort Law: mapping the Counturs of the debate, 15 Can. Bus. L. Rev.471, 471-498 (1989); The special committee on the Tort Law liability, Toward a Jurisprudence of Injury: The continuing creation of a system of substantive justice in American Tort Law, IV-1-222; G. T. Schwartz, Mixed Theories of Tort Law: Affirming both deterrence and corrective Justice, 75 Tex. L. Rev. 1801, 1801 e ss. (1996-1997); Giulio Ponzanelli, op. cit., pp. 25 e ss.

[65]L’istituto dei danni punitivi ha trovato terreno fertile negli Stati Uniti, i cui stati federali vedono per la maggior parte l’implementazione di tale categoria di danni, ed in Inghilterra, dove appunto sono nati ma hanno trovato minor fortuna, essendo previsti in limitati casi, soprattutto in lesione di diritti fondamentali. I danni punitivi sono però estranei agli ordinamenti di civil law, salvo limitate eccezioni (come Brasile, Norvegia e Polonia), essendo considerato incompatibile con il principio di separazione tra diritto civile e diritto penale. In Italia con la sentenza della Cassazione n. 1183/2007 si era arrivati alla conclusione di non riconoscerli perché in contrasto con l’ordine pubblico interno, ma con la sentenza n. 16601/2017 delle Sezioni Unite tale orientamento è stato rivisitato, riconoscendo validità ad una sentenza di condanna straniera che incorporava nel risarcimento anche danni punitivi. La questione dunque, come si può ben vedere, è ancora aperta e tutt’altro che risolta.

[66]Nel primo caso si assiste difatti a una riduzione del risarcimento attraverso l’uso di alcuni correttivi, non essendo ad esempio considerati suscettibili di essere risarciti i cosiddetti danni non patrimoniali, che sfuggono a qualsiasi valutazione oggettiva di carattere economico. La ipo-compensazione difatti discende dalla difficoltà di quantificare il danno per le caratteristiche della fattispecie sottoposta alla valutazione giudiziale. Se tale fenomeno è negativo, ancor più negativo è quello della iper-compensazione, cioè quando a favore del danneggiato viene concessa una somma più alta del danno effettivamente sofferto, che è il caso dei danni punitivi ad esempio. Quest’ultimo caso di risarcimento può verificarsi per i più svariati motivi (rapporto regime di responsabilità e sicurezza sociale, criteri di risarcimento, ecc.), ma risulta sempre dannoso, come abbiamo già visto al cap. 4.2., vedi supra).

[67]Quello che si è detto a proposito della compensazione, può essere qua ripetuto per la deterrenza: entrambi i fenomeni, di ipo-deterrenza e iper-deterrenza, presentano costi sociali particolarmente alti. Si ha il secondo caso quando il soggetto che è posto nella condizione di arrecare danno a terzi è stato costretto, per ridurre il rischio di eventi dannosi, ad assumere iniziative così onerose da essere indotto ad abbandonare l’attività esercitata (questo fenomeno è stato particolarmente evidente nell’industria farmaceutica americana, dove tutta una serie di standard, eccessivi per lo più, hanno condotto ad una paralisi nello sviluppo della stessa industria). Il primo fenomeno si verifica invece quando la regola di responsabilità civile non arriva a produrre alcun ampliamento dello standard di sicurezza dell’attività che è fonte potenziale di danno e può anche qui essere dato dai fattori più vari (dalla difficoltà di conoscibilità delle norme di prevenzione ad una scarsa effettività delle stesse dal punto di vista sanzionatorio, ecc.). Quello che più interessa qui è che il fenomeno di ipo-deterrenza è strutturalmente legato alla situazione di ipo-compensazione, giacchè se il danneggiante sa che è assai probabile, per non dire sicuro, che il costo globale del risarcimento sarà inferiore, per una ragione o per l’altra, all’effettivo e reale danno sofferto dalla vittima, diminuiranno gli incentivi a porre in essere le opportune misure per evitare la nascita di un accadimento dannoso. Allo stesso modo anche la situazione di iper-deterrenza produrrà casi di iper-compensazione. (Giulio Ponzanelli, op. cit., pp. 31-32)

[68]Si vedano a tal propositoN. K. Komesar, Toward a general theory of personal injury loss, 3 Journal of Legal Studies 457, 457-486 (1974); D. A. Fraser, Note: What is “Fair compensation” for death or injury, 4 Int’l Rev. L. & Econ.83, 83-97 (1984); D. D. Haddock, F.S. McChesney, M. Spiegel, An ordinary economic rationale for extraordinary legal sanctions, 78 Calif. L. Rev.1, 45-48 (1990); W. Landes, R. Posner, The economic structure of tort law, Harvard University Press, 1987, pp. 247-249.

[69]A tal proposito si veda D. Sugarman, Doing it away with tort law, 73 Cal. L. Rev. 555, 555 e ss. (1985), che passa in rassegna le teorie basate su una concezione di giustizia correttiva per la responsabilità civile.

[70]Si vedano a tal propositoR. Epstein, Nuisance Law: Corrective Justice and its Utilitarian Constraints, 8 (1) Journal of Legal Studies 64, 65-69 (1979); G. P. Fletcher, Fairness and Utility in Tort Law, 85 (3) Harvard Law  R. 556, 556-564 (1972).

[71]La presenza dell’assicurazione di responsabilità civile diminuisce significativamente gli effetti di riprovazione sul danneggiante e modifica profondamente i meccanismi di allocazione degli oneri finanziari dei sinistri, indebolendo notevolmente tale chiave di lettura e promuovendo l’esclusione della responsabilità di chi svolge attività economiche conformi a parametri socialmente apprezzabili. Tale concezione inoltre assume che la lesione patita dal danneggiato sia una buona misura della riprovevolezza del danneggiante il che non pare corrispondere sempre e comunque alla realtà. (G. Comandè, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali, Studio di diritto comparato, Giappichelli editore, Torino, 1999, pp. 284-285).

[72]Si veda a tal proposito G. Calabresi, op. cit., p. 26.

[73]In termini economici un danno è evitabile quando può essere evitato ad un costo inferiore rispetto al costo preventivato dal sinistro stesso. (G. Comandè, op. cit., p. 26, nota n. 13)

[74]Si vedano a tal propositoG. Calabresi, op. cit., p. 26.; W. K. Viscusi, Reforming product liability, 1991, Cambridge MA, Harv. Un. Press, pp. 132-157; J. O’Connell, S. J. Carroll, M. Horowitz, A. Abrahamse, Consumer choice in the Auto insurance market, 52 Maryland L. Rev.1008, 1016 (1993); J. H. Arlen, Compensation Systems and efficient deterrence, 52 Maryland L. Rev.1103, 1103 e ss. (1993).

[75]Il diritto al risarcimento infatti viene limitato alle fattispecie in cui si possa imputare a terzi la responsabilità del danno subito piuttosto che sulla base delle singole necessità generate dalla lesione. Il risarcimento poi fondamentalmente basato sul guadagno precedente al sinistro può avere effetti regressivi dando riparazione maggiore al ricco che al povero, pur a fronte del medesimo costo assicurativo. Infine elevati costi amministrativi per il sistema di responsabilità civile possono sconsigliarne l’uso per compiti che possono essere assorbiti più propriamente da altre situazioni istituzionali. (G. Comandè, op. cit., p. 287)

[76]Si veda a tal proposito invece G. Eads, P. Reuter, Designingsafer products: Corporate responses to Product liability law and regulation, Rand Corp., Santa Monica CA, 1983, pp. 67-98, per cui il sistema di responsabilità civile sarebbe in grado di inviare solamente segnali indistinti; J. A. Siciliano, Corporate Behavoiur and the social efficiency of tort law, 85 Mich. L. Rev.1820, 1820 e ss. (1987), che ritiene discutibili le capacità del tort system di suscitare livelli di sicurezza dei prodotti socialmente efficienti; per ultimo G. Comandè, op. cit., pp. 286-289.

[77]Si veda sempre D. Sugarman, Doing it away with tort law, 73 Cal. L. Rev. 555, 581-585 (1985), per il quale il potenziale deterrente della responsabilità civile può evidenziarsi anche nel discredito sociale che accompagna un danneggiante. In assenza della responsabilità civile però altre forze garantirebbero livelli accettabili di deterrenza: l’istinto di autoconservazione, le forze di mercato, le regole morali o le regolamentazioni amministrative. Altri autori avevano evidenziato altri elementi che potenziavano il fattore deterrente della responsabilità civile (C. Brown, Deterrence and Accident Compensation Schemes, 17 U. W. Ontario L. Rev.111, 153 (1978), nonché lo stesso G. T. Schwartz,Mixed Theories of Tort Law: Affirming both deterrence and corrective Justice, 75 Tex. L. Rev.1801, 1826 (1997))

[78]I potenziali danneggianti cioè adottano tutte le precauzioni possibili fino a che il costo della loro adozione non si apari al costo marginale atteso del risarcimento eventuale del danno. (G. Comandè, op. cit., p. 289)

[79]Si veda sempre G. T. Schwartz, op. cit., pp. 1802 e ss.

[80]Vedi supraal cap. 4.2. per il prospetto relativo all’analisi statica.

[81]Si rimanda qui a G. Comandè, op. cit., p. 291. L’ipotesi di aumentare i risarcimenti sopra i danni effettivi non è inoltre efficiente economicamente, giacchè scoraggerebbero l’offerta in maniera decisiva.

[82]È il caso ad esempio dell’esperienza degli accordi interassicurativi in Belgio e Francia che, con bassissimi costi amministrativi, raggiungono i risultati suggeriti nel testo appunto. (si veda sempre G. Comandè, op. cit., p. 296)

[83]Si veda a tal proposito G. Calabresi, op. cit., p. 101.

[84]Si veda sempre G. Calabresi, op. cit., p. 102.

[85]Si faccia ancora riferimento a G. Calabresi, A. D. Melamed, Property Rules, Liability Rules and Inalienability: One View of the Cathedral, 85 Harvard Law Review 1089, 1117-1120 (1972).

[86]Si veda sempre supra il par. 3.

[87]Si tengano inoltre conto le critiche che lo stesso autore fa del metodo di prevenzione generale muovendo dalla teoria della distribuzione, riguardo a distribuzione di reddito, disoccupazione, monopolio e teoria della migliore alternativa in G. Calabresi, op. cit., pp. 113-126, che possono essere riassunte nel modo prefato nel testo.

[88]Tali presupposti vengono enumerati sempre da G. Calabresi, op. cit., pp. 137-150.


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