Regime fiscale delle criptovalute in Italia e in Europa
di Paolo Di Marcantonio
Introduzione
La rapida diffusione delle Criptovalute nell’ultimo anno, complice la rilevanza sui notiziari internazionali generata dalle attività speculative effettuate soprattutto nei confronti dei bitcoin, hanno spinto le autorità fiscali nazionali ed internazionali ad interrogarsi su quale fosse il trattamento fiscale da applicare a questi nuovi prodotti “ibridi” nel panorama tecnologico.
Senza addentrarci troppo nella qualificazione giuridica delle criptovalute (già presente sul sito), la recente V direttiva antiriciclaggio le definisce come:
“una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”
A parere di chi scrive, il passo in avanti fatto dal legislatore Europeo è si importante, ma non definitivo. Avere una definizione di moneta virtuale può aiutare i singoli legislatori nazionali nel difficile compito di inquadramento di questi nuovi prodotti; tuttavia, con tale definizione, il legislatore europeo ha limitato l’uso delle criptovalute ad una mera funzione monetaria e mezzo di scambio, non considerando le innumerevoli applicazioni che tale tecnologia ha sviluppato negli ultimi anni. La possibilità di conclusione di smart-contract, la partecipazione sociale alla costituzione di ICOs (paragonabili in tal caso a vere e proprie azioni), nonché l’uso per l’attività speculativa, non sono state considerate in una definizione complessa, ma non completa.
I parerei dell’Amministrazione finanziaria: l’interpello n.72E/2016 e 956-38/2018
Con l’interpello 9 settembre 2016, n.72/E, l’Agenzia delle Entrate, per la prima volta, ha preso posizione sul regime fiscale impositivo delle criptovalute. In assenza di uno specifico appiglio normativo e giurisprudenziale, basandosi solamente sulla storica sentenza della CGUE, C-264/14 (Skatteverket v. David Hedqvist), il fisco italiano era giunto alla conclusione che, ai fini della tassazione diretta, le persone giuridiche dovessero essere soggette ad IRES per i componenti positivi di reddito e ad IRAP per il valore della produzione netta. Con riguardo alle persone fisiche, estranee all’esercizio di arti o professioni ovvero ad attività d’impresa, la risoluzione aveva precisato che la compravendita di tali valute non comportasse l’emissione di reddito imponibile in quanto «le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa».
La posizione in materia è cambiata radicalmente con il recente interpello 956-39/2018, nel quale vi è stata l’assimilazione delle valute virtuali ai redditi diversi di natura finanziaria e, dunque, soggetti alla tassazione prevista exart. 67, comma 1, lett. C-tere ss. Del T.U.I.R. La normativa, attribuisce rilevanza a particolari fattispecie per le quali è presunta ex lege la finalità d’investimento finanziario; orbene, qualora l’investito abbia maturato una situazione possessoria qualificata in € 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi consecutivi, il prelievo di valuta virtuale dai wallet, sarà oggetto di tassazione quale reddito diverso di natura finanziaria, indifferentemente se vi sia o meno la finalità speculativa dietro tali operazioni.
Fatto salvo il caso precedente, le criptovalute, intese come valuta estera, non sono soggette all’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE), disciplinata ex art. 19, commi 18 e ss., del D.l. n. 201/2011; rientrano tuttavia nel campo degli obblighi del monitoraggio fiscale ex Art.4 del D.lgs 28 giugno 1990, n.167 che impone ai contribuenti di indicare nel quadro RW “gli investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia”, nonché alla normativa antiriciclaggio del D.lgs. n.90/2017.
La Germania come “paradiso fiscale” delle criptovalute
Discostandosi nettamente dagli sforzi effettuati dalle amministrazioni finanziarie degli stati membri, comuni sulla politica di tassazione delle e-coin; la nuova normativa, prevista all’art 23 dell’Einkommensteuergesetz (EStG), ha difatti posto in netto contrasto la politica fiscale tedesca rispetto al resto dell’Europa.
Il Ministero delle finanze tedesco, su indirizzo del governo, ha difatti stabilito che per effettuare transazioni di monete virtuali siano necessarie apposite autorizzazioni rilasciate dall’Autorità Federale di Controllo Finanziario (BaFin), in quanto la posizione del legislatore è quella di considerare le criptovalute come denaro privato.
Ne consegue che, secondo la normativa citata, le vendite eseguite attraverso l’utilizzo di denaro privato (nel quale rientrano quindi le criptovalute), che non superino l’importo di € 600, debbano essere considerate esentasse.
La stessa normativa prevede poi che le plusvalenze generate da tali valute, di qualsiasi importo sia, debba essere esente in maniera totale dall’imposizione fiscale qualora vengano detenute dallo stesso proprietario per più di un anno dalla data di acquisto.
Secondo la normativa attuale, dunque, si potrebbe affermare che, al momento, la Germania risulta una sorta di “paradiso fiscale” dato il trattamento agevolato rispetto al resto delle amministrazioni occidentali.
Il regime fiscale francese alla luce della decisione 26 aprile 2018
Il precedente regime impositivo deciso dall’amministrazione francese prevedeva una tassazione decisamente elevata per le plusvalenze generate dalle criptovalute, attratte nella disciplina dei BIC ((Bénéfices Industriels et Commerciaux) o dei BNC (Bénéfices non Commerciaux), ai quali viene applicata un’aliquota variabile fino al 45%, senza distinguere se in possesso di persone giuridiche o persone fisiche.
Il Consiglio di Stato francese, facendo rientrare le criptovalute nella categoria dei beni mobili ex art. 516 del Code Civil, non ha prodotto modifiche nei confronti delle persone giuridiche, che vedranno le loro plusvalenze tassate come nel regime fiscale precedente al 26 aprile. La situazione cambia con riguardo alle persone fisiche; il giudice amministrativo francese ha, difatti, previsto che le plusvalenze generate da tali valute godranno di una flat tax parti al 19% al quale si dovrà tuttavia aggiungere il prelievo per il contributo di solidarietà. In tal caso l’onere fiscale totale sarà pari al 35%, non discostandosi troppo dalla precedente normativa.
La Spagna punta ad attrarre i capitali di Criptovalute
La proposta di legge 161/003428, intitolata “Proposta di legge sull’introduzione della tecnologia Blockchain nella pubblica amministrazione in Spagna”, avanzata dal Gruppo popolare spagnolo, ha riscosso un parere positivo unanime all’interno del Congresso; di conseguenza, la Spagna si è ufficialmente attivata per emanare una normativa che fornisca chiarimenti e permetta ai cittadini di evitare sanzioni per l’utilizzo di criptovalute. La prima mossa posta in essere dall’amministrazione spagnola è quella di creare un’autorità indipendente per la tutela dei consumatori e degli investitori finanziario e, parallelamente, lo sviluppo di procedure atte ad assicurare “il rispetto degli obblighi di segnalazione alle autorità fiscali da parte degli intermediari finanziari nella vendita di criptovalute”.
Conclusioni
Dal breve confronto tra gli ordinamenti europei sopra esaminati, si può facilmente notare come l’inquadramento fiscale sia diviso in due grandi correnti: la corrente della tassazione, per disincentivare (correttamente a parere di chi scrive) l’uso fraudolento e speculativo delle criptovalute, e quella della liberalizzazione che vede le cryptos come una possibilità di attrarre grandi quantitativi di capitali nello Stato, promuovendo, dunque, regimi fiscali agevolati proprio grazie al grande “caos” normativo che queste nuove valute hanno portato nel mondo del fintech.
Autore