Il difficile equilibrio tra la trasparenza nella P.A. e il diritto alla privacy alla luce del GDPR
Privacy e trasparenza: due linee destinate ad intersecarsi?
di Valentina Brovedani
Nel sentire comune privacy e trasparenza sono spesso visti come concetti antitetici: ma è davvero così?
L’odierno dibattito tra ciò che è pubblico e ciò che è privato non è di certo una novità.
Infatti, il diritto alla privacy, o meglio, il diritto alla vita privata, costituisce il prodotto di una lunga e combattuta rivoluzione che storicamente affonda le sue radici, addirittura, all’epoca della civiltà greca, fautrice del sorgere della città-stato che diede all’uomo, “accanto alla sua vita privata una sorta di seconda vita, il suo biòs politikòs”.
Tale rivoluzione ha portato a concepire la privacy nel senso di un diritto fondamentale della persona, così come ad oggi sancito dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea; precisamente, il termine privacy si riferisce al complesso dei diritti fondamentali della persona, quali la riservatezza, l’identità personale e la protezione dei dati personali.
Nel settore della Pubblica Amministrazione, però, l’affermazione di tale diritto comporta il suo necessario contemperamento con il right to know, quale criterio di regolazione del rapporto tra cittadino e P.A..
Il principio di trasparenza si pone come chiave volta a garantire il c.d. open government, ovvero l’apertura del patrimonio informativo pubblico, che consente ai cittadini un controllo costante dell’attività, e, al contempo, la responsabilizzazione degli amministratori pubblici.
Il carattere metaforico dell’espressione «trasparenza» è stato trasposto dal campo della fisica a quello delle scienze giuridiche per indicare un’«idea» di come dovrebbe apparire l’amministrazione, o meglio, verso quale obiettivo dovrebbe tendere la strutturazione degli apparati pubblici attraverso una serie eterogenea di istituti.
Se ne deduce che la trasparenza non si riferisce ad un istituto giuridico dal volto preciso e ben delineato, ma a un più generale «modo di essere» degli apparati amministrativi: «Dove un superiore pubblico interesse non imponga un momentaneo segreto, la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro» (Filippo Turati).
Ad ogni modo, l’evoluzione della trasparenza non si è ancora conclusa: il D.Lgs. n. 97/2016 – Decreto Madia – in modifica al D.Lgs. n. 33/2013 – Decreto Trasparenza – con l’introduzione dell’accesso civico “generalizzato” ha esteso anche al nostro ordinamento il c.d. diritto alla trasparenza, ovvero il diritto di essere informati quale espressione della manifestazione della libertà di informazione. Attualmente, la regola generale è, dunque, la total disclosure, mentre la riservatezza e il segreto costituiscono le eccezioni.
Analogamente la trasparenza delle informazioni è un principio cardine della disciplina sulla protezione dei dati personali. Quest’ultima riconosce a ciascuno il diritto di essere informato sul trattamento dei propri dati sia prima dell’inizio del trattamento, attraverso l’informativa prevista dall’art. 13 del Codice in materia di dati personali, che nel corso dello stesso, grazie alla possibilità di accedere ai propri dati e controllarne l’utilizzo attraverso l’esercizio dei diritti previsti dall’art. 7 del Codice medesimo.
Il giusto equilibrio tra i concetti di privacy e trasparenza emerge con chiarezza dal considerando 4 del nuovo Regolamento sulla privacy 2016/679, a mente del quale «il diritto alla protezione dei dati personali non è una prerogativa assoluta ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con gli altri diritti fondamentali in ossequio al principio di proporzionalità».
Il nuovo GDPR definisce quindi la complementarità dei diritti fondamentali della persona e della trasparenza: i primi anzi sono gli strumenti per rendere possibile la seconda. In questa prospettiva va dunque rigettata qualunque visione oppositiva o antagonista del diritto alla privacy nei confronti della trasparenza.
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