L’evoluzione del diritto all’oblio alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione
I parametri del bilanciamento con i diritti di cronaca e di satira, tra tradizione e innovazione
di Roberta Mazzucconi
Con la recentissima sentenza n. 6919 depositata il 20 marzo 2018, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di oblio. Attraverso un’attenta analisi circa la natura e l’evoluzione del diritto all’oblio, così come originatosi dalla giurisprudenza interna, europea e sovranazionale, i giudici di legittimità hanno individuato alcuni criteri di bilanciamento volti a dirimere il conflitto tra il diritto del singolo ad essere dimenticato e i contrapposti diritti di cronaca e di satira[1].
In particolare la Suprema Corte – cassando la pronuncia impugnata e rimettendo il giudizio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione – ha stabilito determinati parametri in presenza dei quali il diritto all’oblio può legittimamente subire una compressione e, dunque, considerarsi recessivo rispetto al contrapposto diritto di cronaca, altrettanto fondamentale. Tali parametri riguardano: (i) il contributo arrecato dalla notizia ad un dibattito di interesse pubblico; (ii) ragioni di giustizia, di polizia, di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero scientifiche, didattiche o culturali; (iii) lo stato di figura pubblica del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese; (iv) la veridicità, l’attualità e la continenza della notizia, che sia diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; (v) la concessione del diritto di replica prima della diffusione della notizia.
Non riscontrando, nel caso di specie, l’integrazione dei parametri individuati per il corretto esercizio del diritto di cronaca, la Cassazione ha poi affrontato – per la prima volta – la questione relativa al conflitto tra diritto all’oblio e diritto di satira. In forza di tale ragionamento, i giudici di legittimità hanno riconosciuto una palese violazione del diritto all’oblio dell’interessato, escludendo, di pari grado, anche il legittimo esercizio del diritto di satira. Veniva così accolto il ricorso del noto cantante A.V. contro la prima emittente televisiva, proposto al fine di ottenere il risarcimento dei danni per l’utilizzazione non autorizzata della propria immagine, per la violazione del diritto all’oblio, e per il carattere lesivo dei commenti sarcastici posti a corredo di un servizio – mandato nuovamente in onda, a cinque anni di distanza dal primo, durante una nota trasmissione pomeridiana – sui personaggi più “scorbutici ed antipatici del mondo dello spettacolo”, contenente un filmato in cui il cantante rifiutava perentoriamente un’intervista all’uscita di un ristorante.
La Corte, ritenendo pregiudiziali ed assorbenti, rispetto alle altre, le censure mosse dal ricorrente relative alla lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost. e dell’art. 97, L. n. 633 del 1941, ha incentrato il proprio ragionamento sull’indagine relativa al legittimo esercizio del diritto di cronaca e di satira nei confronti di un “personaggio noto”, condizione in presenza della quale sarebbe risultato scriminato il carattere lesivo del servizio andato in onda.
Ebbene, sembra opportuno evidenziare come i ragionevoli parametri stabiliti, nonché le condivisibili conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza in parola, siano il frutto di una lunga, difficile ed incessante elaborazione teorica operata negli anni, dagli stessi giudici di legittimità, in materia di riservatezza, identità personale, diritto all’oblio – da una parte – ed in materia di diritto di cronaca e di satira – dall’altra. Considerando in chiave personalistica tutti i diritti costituzionali coinvolti nel presente confronto, è possibile osservare come questi, lungi dal confliggere tra loro, non possano che convergere verso la medesima finalità, ossia quella di consentire il pieno sviluppo della persona umana sia nella dimensione sociale – per quel che riguarda la libertà di manifestazione del pensiero – sia in quella individuale – con preciso riferimento alla tutela della vita privata[2].
Ed infatti, per inquadrare correttamente la questione del diritto all’oblio nella sua originaria e più radicata dimensione costituzionale, occorre sottolineare che se è vero che «il diritto all’oblio appartiene alle ragioni e alle “regioni” del diritto alla riservatezza»[3], qualificandosi come valore strumentale alla corretta ricostruzione dell’identità personale dell’individuo, non meno vero è che il diritto in parola trova il suo stesso presupposto e ragion d’essere proprio nei diritti di cronaca e di satira, espressioni della libertà di manifestazione del pensiero, di cui all’art. 21 Cost., nonché nelle libertà dell’arte, della scienza e dell’insegnamento, garantite dall’art. 33, 1° comma, Cost., «diritti, questi, rispetto ai quali esso vive in una tensione permanente»[4].
La stessa Corte di Cassazione, con pronuncia n. 5259 del 1984 – c.d. “sentenza-decalogo del giornalista” – ha fornito un’elencazione dei criteri di legittimazione dell’esercizio del diritto di cronaca. Tali parametri, elevati al rango di diritto vivente e di regola generale[5], corrispondono ai requisiti di «utilità sociale» o «pertinenza» della notizia, «verità oggettiva» dei fatti narrati, anche soltanto putativa – purché frutto di un lavoro di ricerca – e, infine, «continenza», consistente in un’esposizione dei fatti in forma civile e «non eccedente rispetto allo scopo informativo da perseguire»[6]. Il parametro dell’utilità sociale – la cui «eccezionalità» consente la legittima intrusione nella vita privata altrui in nome del superiore interesse pubblico all’informazione – assume pertanto una duplice valenza: non si pone esclusivamente come fattore legittimante l’iniziale diffusione della notizia, ma anche come elemento persistente nel tempo volto ad escludere l’antigiuridicità delle successive rievocazioni[7].
È possibile, pertanto, sostenere come l’esercizio del diritto all’oblio rappresenti «la naturale conseguenza di una corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca»[8]: in particolare, la pretesa del singolo a ritornare nell’anonimato, viene riconosciuta come “diritto” allorché non vi sia più alcuna utilità sociale ad informare il pubblico, nel momento in cui la notizia sia diventata “falsa” in quanto non aggiornata o, infine, quando l’esposizione dei fatti non sia stata commisurata all’esigenza informativa ed abbia recato un vulnus alla dignità dell’interessato[9].
A partire da queste premesse, nel 1998, la Suprema Corte di Cassazione – con un certo ritardo rispetto alla giurisprudenza di merito e agli studi condotti sul tema, già da qualche anno, dalla dottrina[10] – , per la prima volta, dava esplicito riconoscimento al diritto all’oblio, qualificandolo come «il giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposto ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata»[11]. La pronuncia in esame precisava che, per il legittimo esercizio del diritto di cronaca, non fosse sufficiente l’esistenza del solo requisito dell’interesse pubblico circa il fatto narrato, ma stabiliva la necessità dell’ulteriore condizione – intimamente connessa alla prima – data dall’attualità della notizia[12].
Con riferimento a tale ultimo aspetto, non si può fare a meno di osservare come l’avvento delle reti informatiche, in particolare, abbia inciso sul rapporto tra oblio e memoria: fin dalle origini dell’umanità dimenticare è stata la regola e ricordare l’eccezione, ma «oggi con l’avvento della tecnologia digitale e dei network globali tale equilibrio si è ribaltato, tanto che dimenticare è diventato l’eccezione e ricordare la norma»[13].
In riferimento al fenomeno riguardante la trasposizione on-line degli archivi storici delle maggiori testate giornalistiche e la digitalizzazione di banche dati istituite per finalità di ricerca, la III sezione civile della Corte di Cassazione, con la rivoluzionaria – e, per molti aspetti, criticata – sentenza n. 5525 del 5 aprile 2012, ha riconosciuto, in capo al soggetto titolare dei dati personali, il diritto alla contestualizzazione e all’aggiornamento della notizia, in relazione alla finalità del trattamento dei dati, in quanto «la notizia, originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera» e dunque potenzialmente lesiva dell’identità personale del soggetto interessato[14].
Discostandosi dalla più cauta linea interpretativa seguita dalla precedente giurisprudenza, la Corte Suprema, alla luce del principio di verità e di correttezza, giungeva a rimodulare e ad ampliare il concetto di oblio, non più esclusivamente considerato, in senso negativo e passivo, come statico diritto alla cancellazione dei propri dati, bensì quale diritto positivo ad una pretesa dinamica e attiva volta alla contestualizzazione, all’aggiornamento ovvero integrazione dei dati contenuti nell’articolo, per mezzo di un collegamento «ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l’evoluzione della vicenda»[15].
A distanza di soli due anni dalla decisione della Corte di Cassazione, la nota sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea relativa al caso Google Spain[16], ha ridefinito completamente il tema del diritto all’oblio ed ha delineato una nuova forma di responsabilità gravante in capo al motore di ricerca, mutando radicalmente il panorama giurisprudenziale consolidatosi, fino a quel momento, al livello nazionale ed europeo.
Ed infatti, con sentenza n. 13161 del 24 giugno 2016, la Corte Suprema, tornando a pronunciarsi sul tema riguardante l’archiviazione on-line delle notizie effettuata dalle testate giornalistiche, forte dell’esperienza europea, ha riconosciuto in presenza di determinate condizioni, la prevalenza del diritto all’oblio, rispetto al diritto all’informazione. Secondo il ragionamento della Corte – che è sembrato risolversi in un bilanciamento asimmetrico del tutto a favore della riservatezza, a scapito del diritto di cronaca – la persistenza, in un giornale on-line, di una risalente notizia di cronaca «appare, per l’oggettiva e prevalente componente divulgativa, esorbitare dal mero ambito del lecito trattamento d’archiviazione o memorizzazione on-line di dati giornalistici per scopi storici o redazionali» configurandosi come violazione del diritto all’oblio, quando, in ragione del tempo trascorso «doveva reputarsi recessiva l’esigenza informativa e conoscitiva dei lettori cui la divulgazione presiedeva»[17].
Proprio riguardo l’esigenza informativa e conoscitiva della collettività, sembra opportuno evidenziare come la Corte Suprema, nella sentenza n. 6919 del 2018 inizialmente richiamata, abbia osservato in particolare come la CGUE, nel “leading case” Google Spain, avesse ravvisato l’unica eccezione alla prevalenza del diritto all’oblio, nella sola ipotesi in cui «risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi»[18]. A tale riguardo, i giudici della Suprema Corte hanno osservato come invece, nel caso di specie, l’interessato-ricorrente fosse sì un personaggio noto, ma non una figura pubblica, non essendo di certo investito di un ruolo primario della vita pubblica nazionale e, conseguentemente, come il servizio televisivo considerato lesivo dell’identità personale dell’artista non potesse essere considerato idoneo a risvegliare il dibattito pubblico intorno alla vicenda.
In riferimento all’operazione di bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di satira, i giudici di Cassazione, confermando il tradizionale orientamento in materia[19], hanno ribadito come la satira, diversamente dalla cronaca, sia sottratta dall’obbligo di riferire esclusivamente fatti veri, «in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento preso di mira, e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato»[20].
A seguito dell’operazione di bilanciamento tra i diritti contrapposti, la Corte di Cassazione osservava come – con particolare riferimento al caso di specie – il diritto di satira riguardasse un «personaggio noto che non fa notizia»[21] e, conseguentemente, rilevava come il suo esercizio, non essendo giustificato da un dissenso riguardo il comportamento preso di mira, né essendo, tantomeno, funzionale alla manifestazione di una denunzia sociale o politica, dovesse considerarsi senz’altro illegittimo e pertanto, recessivo rispetto al diritto all’oblio.
Bibliografia:
[1] Cass., I Sez. Civ., 20/03/2018, n. 6919 in Diritto & Giustizia., 21 marzo 2018, fasc.50, pag. 2, con nota di D. BIANCHI, Oblio batte satira quando il personaggio noto non è figura pubblica.[2] In tal senso, C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, Cedam, 1976, 1076. Sul punto, cfr. E. ROSSI, Art. 2, in Commentario alla Costituzione, R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Torino, 2006, 38 s., in particolare, con riferimento alla «estensione della categoria dei “diritti inviolabili”», 46-49.
[3] Per tale affermazione, cfr. G.B. FERRI, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in Riv. dir. civ., Parte Prima, 1990, 808. Per il rapporto tra diritto all’oblio e diritto alla riservatezza, cfr. G. CASSANO, Il diritto all’oblio esiste: è il diritto alla riservatezza, in Dir. fam., 1998, 90.
[4] In tal senso, F. PIZZETTI, Il prisma del diritto all’oblio, in ID. (a cura di), Il caso del diritto all’oblio, Torino, Giappichelli, 2013, 30-31.
[5] Così, G. BALLARANI, Profili giuridici dell’informazione. Cronaca, critica e satira, in Giust. civ., vol. LVII, 10, 2007, 417.
[6]Corte cass., I sez. civ., 18/10/1984, n. 5259, in Giust. civ., 1985, I, 356, con nota di M. Dogliotti, La cassazione e i giornalisti: cronaca, critica e diritti della persona.
[7] Per tale significativa osservazione, cfr. A. MANTELERO, Il diritto all’oblio dalla carta stampata ad Internet, in F. PIZZETTI (a cura di), Il caso del diritto all’oblio, op. cit., 145 s., in particolare 150.
[8] Così, M. IASELLI, Diritto all’oblio, in Vita Notarile, 2013, vol. II, 596.
[9] Il riferimento è, ancora, relativo a Cass., sent. 18/10/1984, n. 5259, op. cit. Cfr., sul tema, V. ZENO-ZENCOVICH, Onore e reputazione, in Dig. disc. civ., XIII, 91-94; G. BALLARANI, Profili giuridici dell’informazione. Cronaca, critica e satira, op. cit., 419, M. DOGLIOTTI, La cassazione e i giornalisti: cronaca, critica e diritti della persona, op. cit., 562.
[10] Cfr., ex plurimis, G.B. FERRI, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in Riv. dir. civ., 1990, Parte Prima, anno XXXVI, 801-823.
[11] Cass., III Sez. Civ., 9/04/1998, n. 3679, in Danno e Responsabilità, 1998, vol. 3, 10, 882-894 con nota di LO SURDO, Il diritto all’oblio come strumento di protezione di un interesse sottostante.
[12] Sul punto, P. LAGHEZZA, Il diritto all’oblio esiste (e si vede), in Foro it., 1998, 1838, sostiene che il requisito dell’attualità costituisca il «quarto elemento» e che operi congiuntamente agli altri tre requisiti del decalogo stabilito in Cass., sent. 18/10/1984, n. 5259, op. cit. Ha, di recente, ribadito siffatto principio la Corte Cass., sent. 26 giugno 2013, n. 16111, in Foro it., 2013, I, 2442 s.
[13] Così, V. MAYER-SCHÖNBERGER, Delete. Il diritto all’oblio nell’era digitale, Milano, Egea, 2010, 2.
[14] Così, Cass., III Sez. Civ., 5/04/2012, sent. n. 5525, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 836 s., corsivo nel teso della sentenza. In materia di “verità” della notizia, appare opportuno richiamare il principio affermato nella stessa sede, in Cass., sent. 18/10/1984, n. 5259, op. cit., secondo cui «la verità non è più tale se è “mezza verità ”, (…) la verità incompleta deve essere, pertanto, in tutto equiparata alla notizia falsa».
[15] Cfr., per tale affermazione, Cass., III Sez. Civ., 5/04/2012, sent. n. 5525 , op. cit.
[16] CGUE, sent. 13 maggio 2014, C-131/12, caso Google Spain SL, Google Inc. vs Agencia Espanola de Protecciόn de Datos, Mario Costeja Gonzàlez.
[17] Cass., I Sez. Civ., 24/06/2016, n. 13161.
[18] CGUE, sent. 13 maggio 2014, C-131/12, op. cit.
[19] Cass., 17/09/2013, n. 21235; Cass., 28/11/2008, n. 28411
[20] Cass., I Sez. Civ., 20/03/2018, n. 6919, op. cit.
[21] Cass., I Sez. Civ., 20/03/2018, n. 6919, op. cit.
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