Big Data nella prospettiva antitrust
di Irene di Deo
Si dice che i dati sono un asset, ancor più, i dati sono il nuovo petrolio. Ma se i Big Data assumono un ruolo così importante per creare vantaggio competitivo o addirittura per far sì che un’impresa sopravviva nel proprio mercato di riferimento, allora i Big Data possono diventare qualcosa da custodire gelosamente, un asset il cui accesso può essere precluso ai propri competitors.
Si è abituati a pensare all’aumento di dati a disposizione come ad un aumento della trasparenza e quest’ultima non è altro che una delle condizioni fondamentali per far sì che un mercato si autoregoli a vantaggio dei consumatori. Tuttavia, l’attualità di questi anni ci sta mostrando come i dati possano facilmente trasformarsi in un ostacolo alla competizione. Il documento che riassume in maniera più efficace le modalità di utilizzo dei dati come strumento anti-competitivo è sicuramente il report “Competition law and data” (10 maggio 2016), a cura delle Autorità Antitrust francese e tedesca. Ripercorriamo qui di seguito gli aspetti per i quali i Big Data possono rappresentare una preoccupazione per le Autorità Garanti della Concorrenza e del Mercato a livello globale:
- I dati come strumento di potere di mercato. Ci sono mercati in cui collezionare dati sta diventando il fulcro dell’attività, si pensi ai motori di ricerca, ai social network o agli e-commerce. Ma da dove vengono raccolti? I dati possono essere raccolti direttamente dall’interazione con i propri clienti o potenziali tali, questo è il caso dei cosiddetti dati di prima parte. È possibile in alternativa acquistare dati da terze parti (normalmente i principali data provider), per supplire alla mancanza di una rete di consumatori abbastanza ampia. La concentrazione già estrema, però, di alcuni mercati – si pensi ai casi di Google, Facebook o Amazon – fa sì che non vi sia una terza parte in grado di fornire a un’azienda nuova entrante dati di tale volume e qualità, quali quelli che riescono ad acquisire questi “Giganti” direttamente. La competizione basata sui Big Data li rende quindi di volta in volta sempre più vincenti, permettendo loro di sviluppare prodotti e servizi su misura dei propri consumatori e di rendere sempre più sofisticati i propri algoritmi. È una strada preoccupante, che va dritta verso il monopolio.
- Il lato oscuro della trasparenza. Trasparenza vuol dire consumatori più informati, in grado di scegliere razionalmente in base a prezzo e qualità, grazie ad esempio ai marketplace o a portali di recensioni (in primis Tripadvisor). Ma le informazioni a disposizione di tutti, una delle grandi innovazioni dell’online, possono generare effetti imprevisti. Per capirlo meglio, ripercorriamo in breve una delle teorie alla base dell’economia della concorrenza. L’insostenibilità degli accordi collusivi si basa sull’idea che deviare dall’accordo generi nel breve periodo degli extra profitti. Si pensi ad un duopolio in cui le due imprese decidano di spartirsi equamente il mercato, fissando un prezzo più alto di quello competitivo. In qualunque momento una delle due abbasserà leggermente quel prezzo, per poter guadagnare da sola tutto il mercato. A questo gesto, seguirà però una mancanza di fiducia nel lungo periodo che costringerà entrambe le aziende a rinunciare ai profitti di collusione mantenendosi sul prezzo concorrenziale. Deviare dunque da un accordo collusivo è tanto più razionale tanto più lungo è il tempo in cui si riuscirà a conquistare tutto il mercato di riferimento. La trasparenza del mondo online rende questa scelta tremendamente meno sensata, facilitando la nascita di cartelli e trust, espliciti o meno. Inoltre, l’utilizzo di meccanismi di price-fixing e algoritmi sempre più sofisticati – ad esempio di machine learning, in grado di apprendere anche dalle scelte dei competitors – aggrava il rischio di collusione tacita: per assurdo, si può raggiungere lo stesso risultato e mantenere lo stesso prezzo senza il bisogno di alcun coordinamento.
- Condotte anti-competitive. L’accesso ai dati, come già detto, diventa sempre più un asset strategico per le imprese. Di conseguenza, assistiamo ad acquisizioni di altre aziende finalizzate esclusivamente ad integrare nuovi database, che vadano ad arricchire e quindi a migliorare i modelli matematici applicati sui propri dataset. Assistiamo a casi in cui si cerca di precludere l’accesso ad una o più fonti dati ai competitors o a potenziali nuovi entranti nel mercato ed assistiamo infine all’acquisizione di ingenti volumi di dati personali che causano importanti preoccupazioni dal lato della privacy dei consumatori.
I Big Data, dunque, visti nella prospettiva Antitrust, presentano luci ed ombre. In alcuni mercati particolarmente data-driven, le Autorità competenti in materia di concorrenza, in Europa e non solo, si chiedono quale sia il loro ruolo nel costituire una barriera all’entrata e quindi far convergere l’arena competitiva verso una sempre maggiore concentrazione. Un caso celebre, che è impossibile non nominare, è quello di Facebook e Whatsapp. L’acquisizione dell’applicazione di messaggistica istantanea da parte del gigante social ha destato non poche preoccupazioni, finendo sotto la lente della Commissione Europea. Nel 2016, l’integrazione dei dati tra le due piattaforme, inizialmente negata da Zuckerberg, ha provocato per Facebook una multa di 110 milioni di euro. Anche l’Italia si è mossa su questa questione, comminando nel maggio 2017 una sanzione a Whatsapp per aver «indotto gli utenti di WhatsApp Messenger ad accettare integralmente i nuovi termini di utilizzo, in particolare la condivisione dei propri dati con Facebook, facendo loro credere che sarebbe stato, altrimenti, impossibile proseguire nell’uso dell’applicazione».
Inoltre, dal 1 giugno 2017 è in corso un’indagine conoscitiva congiunta, in cui sono coinvolte l’Antitrust, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali. L’indagine è volta a valutare eventuali criticità connesse all’uso dei Big Data e definire un quadro regolatorio in grado di promuovere la protezione dei dati personal, la concorrenza nell’era dell’economia digitale e il pluralismo informativo.
Ci si attendono dunque importanti sviluppi, sia di ricerca sia di applicazioni da parte del regolatore sui rischi connessi ai Big Data in termini di diminuzione della concorrenza, in particolare su mercati altamente digitali e quindi altamente fondati sull’ampia disponibilità di dati. In breve, le aziende dovranno sempre di più comprendere che le informazioni sono un asset e, così come qualunque risorsa più tradizionale, farne un uso scorretto e anti-competitivo è suscettibile di sanzione.
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