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Diritto di critica, reato di diffamazione e principi morali: una coesistenza controversa

di Francesca Gollin


Il diritto di critica, inteso quale manifestazione della libera espressione del pensiero, è un principio fondamentale di un paese democratico e di un sistema politico che tuteli la libertà d’opinione e di informazione (art. 10 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 4 novembre 1950).

Il diritto di libera espressione del pensiero deve coesistere, in forma equilibrata, con il diritto di informazione e di tutela dell’immagine e dell’onore della persona, un equilibrio precario e difficoltoso, che richiede quotidianamente un bilanciamento tra la genuinità e affidabilità delle opinioni espresse, i toni utilizzati per esprimere tali opinioni o critiche, e la tutela dell’altrui reputazione.

Il presente approfondimento non si focalizzerà sull’informazione giornalistica, la libertà di stampa e sulla relativa disciplina, ma vorrà piuttosto porre l’attenzione sulla libertà di espressione in generale in capo agli utenti che utilizzano la rete web, e il sottile discrimine che sussiste tra l’esercizio del diritto di critica e il reato di diffamazione.

La libertà di manifestazione del pensiero e la sua disciplina nell’ordinamento italiano

La libertà di espressione, prevista nel nostro ordinamento all’art. 21 della Costituzione, è la “pietra angolare dell’ordine democratico”, “il più alto, forse dei diritti fondamentali” (in questi termini si è espressa la Corte Costituzionale, 1969/84 e 1972/172).

La libera manifestazione del pensiero è quindi intesa dalla Corte Costituzionale (ovvero l’organo che tutela l’applicazione e l’interpretazione della Costituzione italiana) come il fondamento del regime democratico, alla base del quale si pone la circolazione delle idee di tutti i consociati.

La libertà di espressione comprende tanto il diritto di informare, quanto quello di essere informati. Il cittadino, quindi, ha diritto ad essere messo in condizione di informarsi e di compiere le sue valutazioni sulla base di una pluralità di fonti cui attingere conoscenze e notizie.

Un diritto di una tale importanza, ha ulteriormente chiarito nel tempo la Corte Costituzionale, non può essere limitato se non dal legislatore ordinario e al solo fine di tutelare beni costituzionalmente rilevanti.

In linea di principio, quindi, il diritto alla libera manifestazione del pensiero non ha limiti. L’unico limite esplicito è contenuto all’art. 21, sesto comma, Cost. ed è costituito dal buon costume: l’articolo vieta infatti “le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”. Vi è, in realtà, un ulteriore limite, declinato nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, che consistente in un altro diritto inviolabile della persona, ovvero l’onore (comprensivo del decoro e della reputazione) (Corte Cost., 1974/86).

L’onore, al pari del buon costume, è un diritto costituzionalmente garantito, agli articoli 2 e 3 della Costituzione. L’art. 2 afferma che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e l’art. 3 stabilisce la pari dignità sociale di tutti i cittadini.

Il diritto all’onore è particolarmente tutelato nel nostro codice penale, nell’ambito dei reati di ingiuria e diffamazione (artt. 594 e 595 cod. pen.).

Il reato di diffamazione consiste nell’offesa dell’altrui reputazione, comunicando con più persone. L’assenza del destinatario dell’offesa, che gli impedisce di percepire direttamente la condotta delittuosa, differenza il reato di diffamazione da quello di ingiuria.

È interessante rilevare che, tra le circostanze aggravanti previste per il reato di diffamazione, si pone la realizzazione della condotta a mezzo internet/social (art. 595, comma 3, cod. pen.).

La ratio di questa previsione è data, evidentemente, dall’espansione dei mezzi di comunicazione nella rete web, dell’interazione potenzialmente illimitata degli individui tra di loro e dalla diffusione di contenuti, pensieri, opinioni. Perché, se da un lato vi è l’intoccabilità della libertà di espressione, dall’altro lato è necessario monitorare e assicurare il rispetto del contrapposto diritto fondamentale alla tutela della reputazione della persona.

Nel mondo virtuale, ancor più del mondo reale, una delle sfide più contemporanee dei legislatori e degli operatori di rete attiene dunque al continuo bilanciamento tra l’inviolabilità del diritto alla libera manifestazione del pensiero e la tutela del diritto all’onore e alla personalità.

L’espressione delle opinioni: obiettività o soggettività?

Il tratto caratteristico del diritto di critica, quale diretta manifestazione della libertà di manifestazione del pensiero, consiste nel fatto che esso si manifesta attraverso giudizi e valutazioni.

Il giudizio, in quanto tale, è fondato su un’interpretazione necessariamente soggettiva dei fatti e dei comportamenti (Cass. Pen., Sez. 5, n. 6493 del 16/04/1993), rispetto al quale non si può prospettare un profilo di rigorosa obiettività.

Senonché, se non può pretendersi che l’opinione sia assolutamente obiettiva, la stessa non può essere espressa in modo da ledere l’integrità morale di un soggetto diventando, altrimenti, un mero attacco personale e trascendendo nella diffamazione.

La condotta diffamatoria si sostanzia, nella sua oggettiva materialità, nella propalazione di notizie lesive della reputazione di un individuo, intesa come l’insieme delle qualità morali, intellettuali e fisiche da cui dipende il valore della persona nel contesto sociale in cui vive.

Va sottolineato che le potenziali vittime del reato di diffamazione sono sicuramente più esposte e i rischi maggiori del passato, a causa dell’amplificazione di una condotta diffamatoria posta in essere nei motori di ricerca.

Il discrimine tra critica e diffamazione è sottile e richiede uno sforzo di sensibilità e contestualizzazione del contenuto.

In questo senso, recenti normative a livello europeo, quali il DSA (Digital Services Act) entrato in vigore il 17 febbraio 2024, si pone proprio l’obiettivo di garantire uno spazio digitale più controllato e tutelante per gli utenti, prevedendo in capo agli intermediari obblighi di moderazione dei contenuti, tenendo conto degli interessi legittimi di tutte le parte coinvolte.

È un esercizio di ricerca continua di equilibrio e appello alla responsabilità degli Internet Service Provider, autori di policies significative, volte a contrastare gli abusi online e garantire la sicurezza digitale, che peccano ancora tuttavia per efficacia e tempestività. La posizione dell’utente, sia persona fisica che società con interessi commerciali e di business all’interno del web, è infatti troppo debole rispetto ai rimedi accordati sia dal legislatore che dalle piattaforme web, che sono in una posizione di netta dominanza.

Senonché, un controllo effettivo da parte dell’intermediario del web non può prescindere da un’interlocuzione seria e fondata con l’utente o un suo rappresentante, che sottoponga all’hosting provider gli elementi contestuali che rendono una condotta diffamatoria e non semplice esercizio della liberà di espressione. Da qui, l’importanza di un corretto utilizzo delle procedure messe a disposizione dalle piattaforme web per il monitoraggio dei contenuti ivi presenti, in quanto la responsabilità della società d’informazione nasce “a condizione che detto prestatore sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita” (art. 16 del D.lgs. 70/2003, che ha attuato la Direttiva n. 2000/31/CE sul commercio elettronico).

In tale contesto, diventa di essenziale rilevanza la prospettazione della situazione concreta, l’individuazione delle sfumature, a volte leggere, dei toni utilizzati per esercitare la critica ed esprimere la propria opinione, la valutazione delle singole espressioni impiegate nel preciso contesto analizzato.

In conclusione, nel flusso continuo e illimitato della circolazione di notizie, opinioni e informazioni nel web, è fondamentale un lavoro di squadra tra intermediari informatici e utenti del web. Il rafforzamento della compliance e del monitoraggio all’interno delle strutture dei providers deve necessariamente essere supportato, al pari di come sarebbe un mediatore di controversie, da un’interlocuzione che gli consenta di conoscere la situazione specifica e le sue particolarità per individuare e, di conseguenza, poter bloccare o limitare la diffusione di contenuti dannosi, lesivi dei diritti degli utenti, e garantire un ambiente digitale trasparente e sicuro.

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