Skip to main content

Hate speech: questioni e prospettive

di Manuela Bianchi

Il 28 gennaio 2020 un decreto ministeriale firmato dagli allora Ministri per l’Innovazione e la Digitalizzazione, della Giustizia e dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di Informazione ed Editoria ha istituito un gruppo di lavoro formato da sedici esperti con diverse competenze del mondo digitale e coordinato dall’Avv. G. Scorza, oggi componente dell’Ufficio del Garante Privacy. Obiettivo del team così formato era fare il punto sul fenomeno dell’odio online e proporre soluzioni per contrastarlo.

La relazione finale, reperibile gratuitamente qui, è stata pubblicata il 5 febbraio 2021. In sintesi, gli esperti hanno:

  • identificato diverse definizioni di odio online, indagandone la fenomenologia
  • analizzato che cosa si è fatto e che cosa si sta facendo a livello internazionale per contrastare i fenomeni di hate speech
  • fornito alcune raccomandazioni di massima su possibili ulteriori azioni da intraprendere

In primo luogo, è necessario tenere presente che il concetto di odio riguarda esperienze soggettive non standardizzabili e l’odio attraverso internet è ancora più difficile da definire per la capacità delle tecnologie digitali di influenzare i comportamenti delle persone e di amplificarne la portata. A tal proposito, l’Unesco, in un rapporto del 2015 dal titolo “Countering online hate speech” individua quattro differenze sostanziali tra odio offline e odio online. L’hate speech online, diversamente da quello offline, infatti:

  • ha carattere permanente, rimanendo attivo in rete per lunghi periodi di tempo e in diversi formati
  • le espressioni di odio, anche se sono rimosse, possono riapparire altrove, ben sapendo che in rete nulla viene eliminato definitivamente
  • dà la possibilità dell’anonimato, che rende le persone meno consapevoli del valore delle proprie parole, più temerarie, ingenerando aspettative di non punibilità e di irresponsabilità
  • è transnazionale, il che rende più complicato individuare i meccanismi legali per combatterlo.

Di fronte a questa evidente e oggettiva impossibilità di fornire una definizione univoca e esaustiva di odio online, il Consiglio d’Europa ha concluso che il suo trattamento concettuale richiede l’intervento delle magistrature. Insomma, dovrà essere la giurisprudenza a delineare una definizione di odio online.

Allo stesso modo, la fenomenologia dell’odio è varia e non riconducibile a una genesi univoca. Essa dipende dalle diverse situazioni storiche, politiche e sociali, oltre che da infinite condizioni educative, psicologiche, antropologiche e familiari. I media digitali, dal canto loro, amplificano la voce di ciascuno e gli algoritmi influenzano la diffusione dell’informazione distorcendo la percezione della realtà. La moderazione dei contenuti digitali avviene prevalentemente con metodi automatici, ma, anche nel caso di valutazioni fatte da persone fisiche i criteri sono standardizzati e determinano la segnalazione, la rimozione, la disabilitazione all’accesso di contenuti e di account di utenti. Inoltre, il messaggio d’odio online, transitando tra i diversi media, viene trasformato e diffuso da soggetti diversi tra loro, con ruoli e finalità differenti (es. cittadino/politico), innescando così effetti a catena difficilmente controllabili nel tempo, nello spazio e nel numero di persone impattate dal discorso d’odio.

Come contrastare, allora, questo fenomeno? Non esistono ricette magiche. In questo campo ci sono diritti in tensione tra loro che devono trovare un giusto bilanciamento: libertà di espressione, coscienza, pensiero, religione, libertà di mercato, diritto alla privacy e diritto di essere difesi dalla violenza, in qualunque modo essa trovi espressione. Fino ad oggi in Europa ci si è mossi in modo disorganico. La Germania, nel 2018 ha adottato una normativa molto severa, ancora in fase di rodaggio; allo stesso modo si è comportata la Francia, con una politica repressiva che ora è al vaglio della Corte costituzionale. Polonia, Spagna, Austria e Paesi del Nord Europa tendono più a governare e mitigare che a reprimere. Nel dicembre 2020 la Commissione Europea ha emesso il “Regolamento per un mercato unico dei servizi digitali”, stabilendo regole uniformi per un ambiente online sicuro, certo, affidabile, dove i diritti fondamentali sanciti dalla Carta Europea per i diritti dell’uomo siano effettivamente protetti.

Per trovare soluzioni capaci di tutelare tutti i diritti umani occorrono interventi che coinvolgano persone, famiglie, scuole, associazioni, università, centri di ricerca, aziende, media, partiti e istituzioni. Il gruppo di lavoro, a tal fine, ha individuato tre livelli su cui bisogna agire contemporaneamente:

  • azioni di prevenzione, con obiettivi a lungo termine (es. educazione civica e digitale, cultura giuridica, ricerca, informazione e comunicazione)
  • innovazione normativa
  • sostegno fattivo alle iniziative volte a progettare, sperimentare, costruire nuove piattaforme ed eventi mediatici per contrastare il fenomeno d’odio.

Autore:

it_IT