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Eye-tracking e neuromarketing: biometria sì o biometria no?

di Simone Napoli


Qualche settimana fa leggevo un bellissimo libro di Riccardo Falcinelli, designer romano che racconta in “Figure” [1] come l’uso delle immagini sia evoluto dal Rinascimento ad oggi: nella pittura, nella fotografia – analogica prima e digitale poi – e nella pubblicità.

Un passaggio del suo libro ha acceso in me una lampadina, complice evidentemente la deformazione professionale: Falcinelli, nel trattare dell’utilizzo delle immagini in ambito marketing, esamina l’applicazione del c.d. eye tracking, ovvero la pratica di monitorare il movimento degli occhi degli avventori (o, per meglio dire, la direzione del loro sguardo), su un manifesto o una pubblicità, per verificare cosa attiri la loro attenzione. Gli analisti marketing, da tale esame, possono ricavare, ad esempio, come l’attenzione dello spettatore si concentri sul prodotto raffigurato o sul nome del brand o ancora sul personaggio scelto come brand ambassador, e in che ordine questo avvenga, ricavandone così un’indicazione sulla misura in cui la scelta di quell’attore o l’uso di quel font aumenti o diminuisca l’attenzione degli sguardi sul brand e, per l’effetto, la sua visibilità. Il tutto viene riportato in una semplice heatmap (o mappa di calore) che restituisce una precisa rappresentazione grafica dei punti su cui gli sguardi si concentrano.

Questi studi, e le conseguenti applicazioni, rappresentano una declinazione del c.d. neuromarketing, ovvero l’analisi delle reazioni cerebrali ad un’immagine o ad altro genere di stimolo, come informazione utile per calibrare una campagna pubblicitaria, girare uno spot o inserire un semplice banner su una pagina web.

Un tema indubbiamente affascinante, ma che pone degli interrogativi sul piano legale e, segnatamente, sul versante privacy. L’eye tracking si fonda, come detto, sull’analisi del movimento oculare, il che ingenera nel giurista “malpensante” il dubbio che vengano così trattati dei c.d. dati biometrici, ma sarà vero?

Per dati biometrici, GDPR alla mano, vanno considerati i “dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico, relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica e che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quali l’immagine facciale o i dati dattiloscopici” (art. 4, paragrafo 1, n. 14, GDPR): pare dirimente, quindi, come ribadisce anche il Considerando 51, che il dato sia trattato tramite un “dispositivo tecnico specifico che consenta l’identificazione univoca o l’autenticazione di una persona fisica”.

Ora, l’eye tracking richiede senz’altro un dispositivo tecnico specifico ma, a ben vedere, non pare così pacifico che consenta l’identificazione di una persona né la sua autenticazione: è quindi dubbio che tale tecnica possa integrare un trattamento di dato biometrico. Tale valutazione, se confermata, sarebbe tutt’altro che irrilevante, considerato che verrebbe meno anche la necessità di un consenso esplicito per procedervi, e parimenti di ogni altra base giuridica prevista dall’art. 9 del GDPR per il trattamento di categorie particolari di dati personali.

In fin dei conti, gli strumenti di tracciamento della direzione dello sguardo altro non fanno se non tracciare un’ideale linea di congiunzione tra la pupilla dell’interessato e la superficie di un manifesto o di uno schermo: potrà mai dirsi questo il trattamento di un dato particolare?

Come detto, la risposta parrebbe essere negativa, ma è bene evitare conclusioni troppo affrettate, dal momento che esistono non poche variabili capaci di sovvertire anche le tesi che appaiano più assennate.

Occorre concentrare l’attenzione su ciò che effettivamente gli strumenti di eye tracking facciano: se lo strumento analizzasse in modo più profondo il bulbo oculare, ad esempio, potremmo forse giungere a conclusioni differenti.

Presso alcune agenzie pubblicitarie, è oggi in uso, perlopiù in via sperimentale, un sistema di tracciamento della superficie oculare che permette di rilevare lo stato emozionale in cui l’interessato si trova nel momento in cui il suo sguardo inquadra un’immagine: sul piano marketing, tale informazione potrebbe essere di grande interesse, dando conferma all’agenzia pubblicitaria, ad esempio, di come effettivamente abbia premiato la scelta di accostare alla boccetta di profumo l’immagine di un’avvenente attrice o di come sia stata azzeccata la scelta di utilizzare colori caldi nella grafica prescelta.

Il trattamento, in questo caso, sarebbe senz’altro più invasivo, ma sussisterebbero gli estremi del dato biometrico? A ben vedere, il tracciamento descritto restituirebbe come unico risultato che “n” soggetti “x” hanno guardato con maggiore insistenza il prodotto, dopo essere stati attirati dal personaggio ritratto, e abbiano mediamente provato uno stato di calma o di divertimento. Ma il tutto non sarebbe associato ad un’identità precisa, che rimarrebbe ignota.

Mancherebbe quindi il requisito dell’identificazione/autenticazione, pregiudiziale per potersi parlare di dato biometrico. Rimarrebbe forse in gioco l’ipotesi che possa comunque trattarsi di dato particolare, nell’accezione di dato relativo alla salute, dal momento che la mappatura del bulbo oculare sarebbe in grado di rivelare, a detta di alcuni studiosi, anche eventuali patologie o caratteri fisici dell’individuo, ma ogni valutazione ad oggi rimane ancora sul piano delle ipotesi.

Il tema non è affatto di scarsa rilevanza, in quanto, se non fossero integrati i requisiti del dato biometrico/particolare, la diffusione di questi strumenti aumenterebbe ad un ritmo esponenziale, in quanto il loto utilizzo sarebbe riconosciuto come lecito a prescindere dal consenso dell’interessato, ma incontrerebbe il malumore di chi, fra noi, ritenesse questo trattamento un’ingerenza comunque non tollerabile nella propria privacy.

I temi aperti, quindi, di certo non mancano e, se da una parte il rischio è di consentire un abuso da parte di operatori del mercato incuranti della compliance, dall’altra viene offerta a Legislatori ed Autorità un’importante opportunità per meglio definire il quadro normativo ed amministrativo corrente.


[1] Falcinelli, R. (2020). “Figure: come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram”. Italia: Einaudi.


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