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Nasce la Corte suprema di Facebook: si chiama Oversight Board

Può un tribunale social decidere sui diritti fondamentali dei suoi iscritti?

di Sara Corsi

L’attività moderatrice su Facebook non è una novità: praticamente sin dall’inizio gli utenti hanno la possibilità di segnalare i contenuti pubblicati, se ritenuti inappropriati o in qualche modo offensivi. Team dedicati dell’assistenza Facebook si occupano di verificare la compatibilità dei contenuti segnalati con gli standard della Community e in caso di contrasto si procede alla loro rimozione. Lo stesso avviene per Instagram. Contro tale provvedimento non è possibile opporsi, a meno che l’utente non intenda adire le vie legali, una strada che comporta almeno due criticità: da un lato, la totale incompatibilità delle tempistiche fra la giustizia “offline” e il mondo social e dall’altro gli oneri economici a carico dell’interessato. Il risultato è dunque quello di scoraggiare il percorso giudiziario nelle controversie con i social network, se non in condizioni di eccezionale gravità. Tuttavia d’ora in avanti l’utente avrà la possibilità di ricorrere contro la decisione dell’assistenza, all’interno del social network.

Chi si occuperà di gestire questi ricorsi social? L’Oversight Board, un comitato di vigilanza che valuterà se confermare o annullare la decisione dell’assistenza Facebook/Instagram sui casi più controversi e che sollevano questioni di maggior interesse pubblico. Il Board, insediatosi poche settimane fa, agirà come una “Corte Suprema” della content policy di Facebook ed Instagram. Ma come si configura giuridicamente il comitato? Successivamente alla descrizione della governance e del processo decisionale del Board, analizzeremo alcune ipotesi a riguardo.

Cosa è e perché nasce l’Oversight Board di Facebook

La storia del Board ha inizio nel 2018 quando Zuckerberg annuncia ufficialmente di aver pensato alla sua istituzione, poiché riteneva di dover scoraggiare più seriamente la pubblicazione di contenuti borderline rispetto agli standard della Community e le violazioni di dati personali. Dichiarazioni che potremmo considerare un tentativo di limitare i danni economici e reputazionali causati all’azienda, dall’ennesimo scandalo privacy, nello specifico il caso Cambridge Analytica, sorto proprio nel 2018 [1]. In quell’anno Facebook contava già oltre 2 miliardi di iscritti e il CEO del social network aveva necessità di recuperare fiducia da un’utenza così cospicua.

Il comitato nasce dunque per dare concretezza alle rassicurazioni di Zuckerberg e garantire un più equo bilanciamento fra diritti e libertà degli utenti (come la tutela della dignità umana, la libertà di espressione, il diritto alla corretta informazione, la protezione dei dati personali, i diritti di proprietà intellettuale), gli standard della Community e le varie leggi applicabili. Nel 2019 si susseguono una serie di incontri, tavole rotonde e consultazioni aperte al pubblico su scala globale, per individuare le basi su cui improntare la struttura del comitato e la gestione del processo decisionale.

La governance del Board

A settembre 2019 è stato pubblicato l’Oversight Board Charter [2], documento che disciplina la governance del comitato, in cui viene disposto che sarà formato da 40 membri, selezionati tra una rosa di professionisti già dipendenti di Facebook Inc., ufficiali governativi, attivisti e professori universitari. Successivamente, a dicembre 2019, è stata annunciata l’istituzione di un Oversight Board Trust, un organo indipendente con il compito di assicurare l’imparzialità dell’Oversight Board. Il Trust finanzierà la retribuzione dei membri del comitato, con fondi derivanti da Facebook, per mettere al riparo le decisioni da eventuali ingerenze o pressioni esterne. A tutela dell’imparzialità del Board, inoltre, Facebook non avrà la facoltà di rimuovere membri che lo compongono, neanche se dipendenti dell’azienda.

Ad ottobre 2020 il Board ha avviato le sue attività. I membri, che sono già stati individuati, provengono da 27 paesi diversi e parlano complessivamente una varietà di 29 lingue, equa è anche la distribuzione generazionale.

Il processo decisionale

Il processo decisionale dell’Oversight Board è descritto nel Bylaws Summary Chart [3], pubblicato a gennaio 2020. Gli utenti che subiranno la rimozione di contenuti o dei propri account su Facebook ed Instagram, in presenza di determinati requisiti, avranno la possibilità di ricorrere al comitato. Nello specifico l’utente che presenterà il ricorso dovrà:

  • essere titolare di un account Facebook/Instagram attivo;
  • aver già ricevuto una risposta definitiva dall’assistenza ed agire con la presentazione del ricorso entro 15 giorni dal ricevimento della stessa;
  • spiegare nella sua richiesta per quali ragioni ritiene ingiusta la decisione dell’assistenza.

Non solo l’utente potrà porre il proprio caso all’attenzione del Board, anche Facebook potrà indicare al comitato potenziali casi di interesse fra le segnalazioni ricevute o persino sollecitarlo per un’urgente revisione della risposta dell’assistenza. Sarà il Board stesso a selezionare quale fra le richieste di ricorso sarà idonea ad un controllo più approfondito. Una volta individuato un caso adatto, questo verrà esaminato da una giuria, composta da alcuni componenti del comitato, che sulla base delle informazioni fornite dall’utente, da Facebook o da eventuali esperti della materia oggetto del caso, preparerà una bozza della propria decisione. In seguito, l’intero comitato interverrà con eventuali modifiche sulla bozza ed emetterà, entro 90 giorni dalla risposta che aveva fornito l’assistenza Facebook all’utente, la propria decisione.

La decisione del Board potrà confermare o annullare il provvedimento dell’assistenza Facebook/Instagram, riammettendo nel secondo caso il contenuto o il profilo penalizzato sui social network. Le decisioni assunte dal comitato saranno presentate in forma scritta, motivate e risulteranno vincolanti per Facebook, che dovrà implementarle, senza possibilità di contestarle, a meno che queste non infrangano la legge. Tali decisioni saranno pubblicamente consultabili, tuttavia, nel rispetto della protezione dei dati personali, saranno gli utenti ad autorizzare o meno la divulgazione di informazioni più dettagliate sul proprio caso. 

Considerazioni giuridiche

È la prima volta che un social network decide di dotarsi di un apparato del genere e questa novità non può che rappresentare motivo di curiosità dal punto di vista giuridico, stimolando la ricerca di similitudini con vari istituti di risoluzione alternativa delle controversie. Sebbene ancora non siano pervenute decisioni da poter esaminare, alcune riflessioni prescindono dall’azione effettiva del comitato. Ad esempio, un giurista fin da subito avrà pensato alla somiglianza con l’arbitrato [4]. Ad una prima impressione in effetti il Board potrebbe apparire simile all’arbitro, essendo un organo extragiudiziale terzo e imparziale, attraverso il quale si espleta un metodo alternativo di risoluzione delle controversie, con l’emissione di una decisione vincolante atta a risolvere un conflitto fra due parti (in questo caso l’utente e Facebook/Instagram).

Tuttavia, emergono delle differenze marcate, prima fra tutte la nomina e la presunta imparzialità dell’arbitro. Il Board è un organo collegiale non scelto da entrambe le parti, un requisito invece necessario per un tribunale arbitrale [5]. Anzi, l’utente ricorrente al Board non ha altra possibilità che accettare un comitato precostituito, che, nonostante le misure adottate per preservare la sua imparzialità, è stato pur sempre selezionato solo dalla sua controparte, Facebook, la stessa che finanzia il Trust e che nomina i suoi componenti. Inoltre, prima che la decisione del Board venga emessa, potranno intervenire degli esperti esterni (non scelti dall’utente) ed in determinate occasioni, verranno aperti persino dei dibattiti al pubblico, in cui organizzazioni e altri utenti di Facebook potranno esprimere la propria opinione sul caso. Circostanze singolari per l’arbitrato e per qualunque metodo di risoluzione delle controversie esistente.

L’impugnazione è un’opzione difficilmente esercitabile contro il lodo arbitrale, infatti, in molti ordinamenti viene scoraggiata e spesso sono proprio le parti a livello negoziale ad impegnarsi in tal senso. Tuttavia ciò accade perché l’oggetto delle controversie sottoposte ad arbitrato non coincide mai con i diritti fondamentali. Se la quasi totalità degli ordinamenti statali esclude dalle materie arbitrabili i diritti totalmente o parzialmente indisponibili dei soggetti coinvolti [6], Facebook, invece, riserva l’azione del comitato proprio ai casi più controversi sotto il profilo dei diritti fondamentali. Alla luce di questi rilievi non si può che escludere pienamente la similitudine con l’arbitrato.

Il sistema di ADR (Alternative Dispute Resolution)[7] potrebbe apparire un’altra opzione da vagliare essendo anch’esso un metodo extragiudiziale di risoluzione delle controversie. Nonostante ciò, si tende ad escludere anche questa similitudine poiché il rapporto che intercorre fra l’utente e il social network presso cui è iscritto, non coincide in nessun modo con quello che vi è fra il consumatore e l’azienda, che, invece, è la base giuridica dell’ADR. Altro elemento distintivo fra i due sistemi risiede nel fatto che le ADR si svolgono presso organizzazioni certificate da un’autorità pubblica, una caratteristica chiaramente inesistente nel caso del Board di Facebook. Infine, anche per le ADR, vale il discorso di prima sul distinto oggetto delle controversie.

Conclusioni

Guardando alla sua composizione, ai documenti regolatori, al processo decisionale strutturato, alle decisioni vincolanti e alla possibilità di emettere raccomandazioni, l’Oversight Board non può essere considerato un semplice upgrade del sistema di segnalazione di Facebook ed Instagram. Quello che emerge è un modello organizzativo dai contorni (e forse anche dalla sostanza) ben più importanti.

La conclusione cui giungiamo è, se vogliamo, “troppo” innovativa, ma per quanto difficile da accettare, risulta come una delle poche configurabili: Facebook ha dato vita ad un sistema giudiziario di natura privatistica. Si parla di sistema e non di un organo perché si delineano chiaramente almeno tre gradi di giudizio, il primo impersonato dall’assistenza Facebook/Instagram, il secondo dalla giuria, con funzione di Corte d’Appello ed infine un ultimo e terzo grado (rappresentato dall’Oversight Board nel suo complesso) che emette una decisione vincolante ed immediatamente esecutiva sul social network.

A questo punto, c’è da domandarsi se il Board potrà agire indisturbato. Potrà svolgere la sua attività in ogni Paese? Gli Stati di diritto, ad esempio, possono consentire ad un collegio di soggetti selezionati da un’azienda multinazionale di emanare decisioni con conseguenze dirette sulla vita e i diritti fondamentali delle persone? Anche ammettendo che le conseguenze di tali decisioni, se contrarie alla legge, in un secondo momento potranno essere annullate dall’intervento di una pubblica autorità, è da ritenersi tollerabile l’esistenza di un simile sistema?

Se da una parte si può sostenere che sono stati gli utenti stessi, con la propria iscrizione a Facebook/Instagram ad accettare le loro policy, di cui è parte questo sistema, dall’altra non dobbiamo dimenticare che il comitato non disquisirà sulla semplice eliminazione di un post provocatorio o discriminatorio, che l’utente in via preventiva sapeva essere contrario agli standard della Community e dunque suscettibile di cancellazione. Le decisioni del Board riguarderanno casi sulla manipolazione di dati per campagne elettorali, casi inerenti alla libertà d’espressione, la dignità umana, il diritto alla corretta informazione, violazioni controverse di dati personali, incidendo in definitiva sull’esistenza degli utenti, anche se magari solo temporaneamente. Di questa prospettiva bisogna essere ben consci prima di sostenere che sia lecita la tesi sul libero arbitrio degli utenti.

Se invece si ritiene che anche la sola esistenza del Board sia inammissibile in uno Stato di diritto, non si può però sfuggire ad un’altra considerazione: quale genere di vuoto nei sistemi giudiziari tradizionali ha reso possibile tutto ciò? Si tratta di un vuoto sicuramente molto esteso e difficile da colmare, che però può essere facilmente individuato nell’arretratezza delle tempistiche decisionali della giustizia statale. In un mondo che corre ormai ad una velocità di minuti in termini di produzione dei contenuti online, deve esistere una risposta in grado di intervenire più velocemente sui casi di maggior interesse pubblico. Una soluzione del genere, al momento attuale, non esiste e sempre proprio a causa di tale criticità, è probabile che la “Corte Suprema” di Facebook avrà la possibilità di lavorare indisturbata, almeno per un po’ di tempo, prima che il suo operato possa essere giudicato dalle autorità pubbliche competenti.


[1]  In particolare l’azienda Cambridge Analytica, in occasione delle elezioni presidenziali USA e del referendum sulla Brexit, avrebbe compiuto un data mining fraudolento tramite un’app con Facebook login. Facebook, a conoscenza dei fatti, non avrebbe agito per tempo per proteggere i dati dei suoi utenti, né la loro esposizione ai contenuti politici manipolatori. Cadwalladr C., The Cambridge Analytica Files, ‘I made Steve Bannon’s psychological warfare tool’: meet the data war whistleblower, The Guardian, 18 marzo 2018, https://www.theguardian.com/news/2018/mar/17/data-war-whistleblower-christopher-wylie-faceook-nix-bannon-trump

[2] Oversight Board Charter, consultabile al: https://about.fb.com/wp-content/uploads/2019/09/oversight_board_charter.pdf

[3] Bylaws Summary Chart, consultabile al:  https://about.fb.com/wp-content/uploads/2020/01/Bylaws-Chart_v2-1.png

[4] Disciplinato nel nostro ordinamento al libro IV, titolo VIII, art 806-840 c.p.c.

[5] Come previsto dall’Art. 810 c.p.c sulla nomina degli arbitri nel nostro ordinamento.

[6] Le materie non arbitrabili nel nostro ordinamento sono descritte all’art. 806 c.p.c.

[7] Le ADR sono regolate in Italia dal D. lgs. 6 agosto 2015, n. 130, che ha recepito la direttiva ADR per i consumatori 2013/11/UE.


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