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La libertà genera costrizioni: ognuno è padrone e servo in un’unica persona

Brevi note a Byung-Chul Han, Psicopolitica, ed. nottetempo, Milano, 2019, trad. Federica Buongiorno

di Manuela Bianchi


Byung-Chul Han, originario di Seul, considerato uno dei maggiori filosofi contemporanei, insegna Filosofia e Studi Culturali a Berlino. Autore prolifico e tradotto in molte lingue, Psicopolitica è un saggio pubblicato per la prima volta in Italia nel 2016, cui sono seguite numerose ristampe, così come è accaduto ai suoi lavori precedenti e a tutti quelli usciti successivamente.

L’assunto da cui lo studioso parte per elaborare la teoria contenuta in Psicopolitica è che il destino del soggetto (=essere sottomesso) è rimanere costantemente nel ciclo sottomissione-liberazione-nuova sottomissione. Oggi crediamo di esserci finalmente liberati da obblighi e costrizioni esterni e di essere diventati un “progetto libero”. Ma non ci rendiamo conto che ora ci sottomettiamo (volontariamente) a obblighi interiori e costrizioni autoimposte, mirando alla prestazione e all’ottimizzazione, vivendo così una libertà che genera essa stessa costrizioni. In sostanza, in questa società neoliberale ci crediamo liberi, ma siamo servi, servi di noi stessi, ci autosfruttiamo, ciascuno recitando contestualmente il ruolo di padrone e servo in un’unica persona: la nostra, noi stessi. Si tratta di un potere permissivo e seduttivo.

Sulla base di queste premesse, l’Autore definisce “Neoliberalismo” il periodo in cui viviamo e “Psicopolitica” la forma di governo tipica di questo regime. Lo scopo principale del Neoliberalismo è aumentare la produttività, sostituendo lo sfruttamento degli altri con lo sfruttamento di sé, generando in tal modo l’efficienza, convincendoci che agiamo in piena libertà. La psicopolitica agisce direttamente sulla psicologia e sulla mente delle persone, non imponendo un potere disciplinare, ma, in maniera assai più subdola e pericolosa, presentandosi come un potere intelligente che seduce e gratifica: basti pensare alla centralità che ha raggiunto nelle nostre vite il “Like” espresso dai contatti sui social. Sotto il profilo filosofico, si parla di “panottico digitale”, un nuovo sistema di controllo che trova espressione attraverso gli smartphone e i social network, che permettono agli utenti di mettersi deliberatamente in mostra, ma, al tempo stesso, osservano meticolosamente la nostra vita, con la conseguenza che pensiamo di essere liberi, non ci sentiamo sorvegliati e minacciati, anzi siamo spinti ad apparire sempre di più, alimentati proprio da quella cultura del Like, che ci rende dipendenti (“Lo smartphone è l’oggetto devozionale del digitale … Il like è l’amen digitale.” pag. 22) e sembra quasi stimolare endorfine, provocandoci uno stato di benessere che ci spinge a volerne sempre di più. Questa società dominata da una falsa positività, da una positività indotta, gestita e manovrata è contronatura. L’uomo, da sempre, ha bisogno della negatività per essere spronato a guarire, annullare la negatività e (ri)trovare una positività che cresce su basi solide, personali. La tecnica di potere neoliberale è prospettiva, permissiva, proiettiva, finalizzata – tra l’altro – alla massimizzazione del consumo. Massimizzare la positività nei modi appena visti sollecita le persone a comunicare e consumare, innescando un domino infinito di stimolazione dei bisogni reciproca che si autoalimenta di partecipanti e di stimoli. Il tutto, è bene ribadirlo, credendo che lo stimolo provenga da noi e non dall’esterno, dall’alt(r)o. Han parla di “capitalismo delle emozioni” che porta a un “capitalismo del consumo”, nel senso che il regime neoliberale ricorre alle emozioni come risorse per realizzare maggiore produttività e prestazioni. L’illusione di essere liberi faciliterebbe l’espressione delle emozioni, dando così luogo a un “design emotivo” che forgia le emozioni, plasma modelli emotivi per suscitare un maggiore stimolo all’acquisto e un numero infinito di bisogni (”Protect me from what I want”).

La psicopolitica neoliberale si serve massicciamente della tecnologia digitale, la cui massima espressione/mezzo sono i Big Data, da cui si ricavano lo psicogramma individuale, quello collettivo e, addirittura quello dell’inconscio individuale e collettivo. Essi sono usati principalmente per controllare il comportamento umano, le nostre decisioni: pensiamo di conoscere, ma in realtà non conosciamo, quali siano i nostri reali bisogni. È evidente l’aspetto subdolo del sistema, che non attacca direttamente la libertà, ma la “instrumentisce”, rendendoci pedine mosse dall’alto. Ecco perché la maggioranza delle persone non si pone il problema quando cede i propri dati personali per ottenere qualcosa che pensa di volere, ma che vuole perché convinto dal sistema, che ha usato proprio quei dati per far nascere il desiderio. Un vero circolo vizioso.

Al netto del linguaggio che può sembrare a una prima lettura pessimista e distruttivo (ma che, a parere di chi scrive, soprattutto dopo aver letto altri suoi testi, non è così, è solo un modo per cercare di far vibrare le coscienze, di risvegliare le menti e renderci consapevoli nell’uso delle tecnologie), concludo con un passo di una intervista rilasciata da Han e reperibile sul web[1]:

Siamo in una servitù. I signori feudali del digitale come Facebook ci danno la terra e ci dicono: arala e puoi averla gratis. E la ariamo come pazzi, questa terra. Alla fine, i signori feudali tornano e prendono il raccolto. Questo è lo sfruttamento della comunicazione. Comunichiamo gli uni con gli altri e ci sentiamo liberi. I signori feudali si arricchiscono con questa comunicazione, i servizi segreti la monitorano. Questo sistema è estremamente efficiente. Non ci sono proteste contro tutto ciò perché stiamo vivendo in un sistema che sfrutta la libertà.”


[1] https://tlon.it/byung-chul-han-se-sei-felice-sei-un-illuso/


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