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Genitori influencer e “sharenting”

di Eleonora Beltrame e Ambra Pacitti

Secondo un recente studio della Commissione Europea, nel 2018 l’importo totale delle entrate generate in Europa dalla pubblicità sui social media avrebbe superato gli 8,7 miliardi di dollari. In particolare, il c.d. Influencer Marketing su Instagram ha da solo generato 570 milioni di dollari nel 2017 e oltre un miliardo di dollari nel 2018.

D’altronde, l’Influencer Marketing è vantaggioso sotto molteplici punti di vista. Basti pensare che il ricorso a tale pratica consente alle aziende di sottrarsi ad alcuni stringenti requisiti imposti dal Regolamento UE n. 2016/679 (“GDPR“). A differenza delle tradizionali campagne di marketing, infatti, l’Influencer Marketing non richiede la raccolta dei dati personali dei consumatori, che vengono invece spinti a cercare attivamente i c.d. Influencer.

Nonostante l’enorme diffusione di tale pratica, però, In Italia l’Influencer Marketing non è direttamente disciplinato. Nel nostro ordinamento non esiste, infatti, una legge ad hoc di riferimento e le numerose implicazioni legali da essa scaturenti sono di norma disciplinate applicando, di volta in volta secondo il caso specifico, le disposizioni esistenti in tema di protezione dei dati personali, diritto d’autore, tutela dei consumatori e concorrenza. Per questa ragione, merita di essere menzionata la Digital Chart introdotta già nel 2016 dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) al fine di rendere trasparente la comunicazione commerciale digitale, ovvero renderla riconoscibile come tale. Dal 29 aprile 2019, le regole della Digital Chart sono state inserite in un vero e proprio Regolamento richiamato dall’articolo 7 del Codice IAP, ai sensi del quale, “per quanto riguarda talune forme di comunicazione commerciale diffuse attraverso internet, i principali idonei accorgimenti sono indicati nel Regolamento Digital Chart[1].

Se l’Influencer Marketing non trova diretto riscontro nella disciplina nazionale, ancora meno può dirsi poi del c.d. Sharenting – dalla fusione di to share, condividere, e parenting, essere un genitore, che spesso porta alla creazione di un c.d. sonogram – dalla fusione di son, figlio, e Instagram – ovvero un account interamente dedicato alla vita di tali minori. Ci si riferisce, infatti, alla pratica, ormai esplosa, con cui gli Influencer condividono online la vita dei propri figli, soprattutto minorenni.

La Digital Chart prende in considerazione pratiche quali l’endorsement e il native advertising, ma non disciplina il coinvolgimento di minori. Di conseguenza, anche in questo caso per comprendere i confini dello Sharenting e valutarne la legittimità, si dovrà fare riferimento alla normativa nazionale e internazionale applicabile.

Ai sensi del GDPR, le immagini costituiscono dati personali e, pertanto, devono essere trattate secondo i requisiti ivi previsti. A tale proposito, il Considerando 38 del GDPR riconosce la necessità di una protezione specifica per quanto riguarda i dati personali dei minori e prende in considerazione anche il mondo del marketing online: “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali. Tale specifica protezione dovrebbe, in particolare, riguardare l’utilizzo dei dati personali dei minori a fini di marketing o di creazione di profili di personalità o di utente e la raccolta di dati personali relativi ai minori all’atto dell’utilizzo di servizi forniti direttamente a un minore. Il consenso del titolare della responsabilità genitoriale non dovrebbe essere necessario nel quadro dei servizi di prevenzione o di consulenza forniti direttamente a un minore“.

L’articolo 8 del GDPR, specificamente diretto a disciplinare il consenso dei minori in relazione ai servizi della società dell’informazione, prevede, poi, che i minori di almeno 16 anni abbiano diritto a dare il consenso al trattamento dei loro dati personali, mentre per i minori di età inferiore a 16 anni il trattamento è lecito solo se e nella misura in cui il consenso sia dato dal titolare della responsabilità genitoriale. Tale soglia può essere abbassata dagli Stati membri fino ad un minimo di 13 anni: l’articolo 2-quinquies (Consenso del minore in relazione ai servizi della società dell’informazione) del Codice Privacy, come modificato dal Decreto Legislativo del 10 agosto 2018, n. 101, ha abbassato tale età a 14 anni.

In aggiunta a quanto sopra, nel caso di minori d’età le predette disposizioni devono essere lette e interpretate anche alla luce del quadro giuridico creato dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176. Tale Convenzione riconosce specifiche garanzie a tutela dei minori e, con particolare riferimento alla loro privacy, l’articolo 16 prevede che “1. Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. 2. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti“.

Alla luce di tali disposizioni, dunque, la presenza dei minori di 14 anni sui social media è considerata legittima nella misura in cui sia autorizzata dai genitori e purché il fine ultimo sia l’esclusivo interesse del minore. Data la natura e le finalità dell’Influencer Marketing e in particolare dello Sharenting, però, ci si chiede se possa effettivamente ravvisarsi, e in quale misura, un interesse del minore o se invece l’unico interesse sia quello, perlopiù economico, dei genitori, di conseguenza non rispondente alle finalità di cui alle previsioni analizzate. Facendo un ulteriore passo avanti, sembra altresì lecito chiedersi se e quali possano essere le conseguenza della violazione della privacy di un minore a scopo di lucro e/o di autopromozione da parte di coloro che esercitano su di esso la responsabilità genitoriale.

Ebbene, come anticipato, nell’attuale quadro normativo italiano la questione non trova un preciso e univoco riscontro. Nonostante ciò, il problema non è privo di rilievo. Ogni giorno, infatti, sono migliaia gli Influencer che pubblicano foto dei propri figli sui social media, condividendo immagini sensibili con un numero indeterminato di persone. Se tale diffusione comporta un rischio per l’incolumità dei minori, interessante è anche riflettere sulla perpetuità dei contenuti pubblicati. Come noto, ciò che viene postato online difficilmente ha una data di scadenza e lo Sharenting potrebbe da alcuni essere considerato quale imposizione di un’identità digitale sul minore che, una volta cresciuto, non necessariamente apprezzerà la presenza online di un dettagliato riassunto della propria vita.


Riferimenti

COMMISSIONE EUROPEA, Behavioural Study On Advertising And Marketing Practices In Online Social MediaFinal Report, 2018, disponibile al seguente URL: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/osm-final-report_en.pdf.

Convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176, disponibile al seguente URL: https://www.unicef.it/Allegati/Convenzione_diritti_infanzia_1.pdf.

IAP, Digital Chart, disponibile al seguente URL: https://www.iap.it/codice-e-altre-fonti/regolamenti-autodisciplinari/regolamento-digital-chart/.

POPOLI, A. R., L’adeguamento dei Social Network Sites al GDPR: un Percorso non Ancora Ultimato, Diritto dell’Informazione e dell’Informatica (Il), fasc.6, 1 Dicembre 2019, pag. 1289.


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