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Dalla Blue Whale al Choking Game: le macabre “sfide della morte” online

di Camilla Bellini

Dimenticate i giochi che da decenni fanno parte della cultura popolare di milioni di bambini e adolescenti e proiettatevi nella dimensione liquida della rete, in cui ciascuno di noi quotidianamente costruisce la propria identità in un contesto di effervescente interconnessione.

Si avvertirà facilmente un senso di disorientamento nell’imbattersi in articoli-denuncia che tratteggiano, in modo ancora incerto, le linee definitorie dei nuovi reati virtuali di istigazione al suicidio, di plagio e di manipolazione mentale, che stanno mietendo innocenti vittime tra i più giovani.

Blue Whale, Fire Challenge e Choking Game sono solo alcune delle folli sfide che dilagano sul web e trovano terreno fertile di coltura, a fini emulativi, tra i ragazzi di età compresa tra i 9 e i 17 anni, che subiscono pressanti manipolazioni psicologiche, al limite del sadismo, al fine di oltrepassare i propri limiti psico-fisici in uno spirito di costante competizione con sé stessi e con gli altri.

Cosa sono queste Challenges mortali?

Partendo dall’analisi del fenomeno della Blue Whale[1], la mente ideatrice di tale nuova trappola mortale riporta il nome del reo-confesso studente russo di psicologia Philip Budeikin, che definì durante l’interrogatorio le sue vittime «scarti biologici che meritavano di morire perché avrebbero solo procurato danni a loro stessi e alla società». Egli, in qualità di c.d. curatore dei giovani “adepti”, dopo aver delineato un decalogo di 50 regole[2] – quali, per esempio, l’incidersi la mano con una lametta per riprodurre l’immagine di una balena da fotografare e inviare come prova al tutore oppure il lasciarsi morire gettandosi da un palazzo – chiedeva agli adolescenti di portare a termine il piano mortale programmato entro 50 giorni.

Questo gioco intende manipolare e deviare la mente di giovanissimi etero-diretti da un amministratore virtuale che, senza alcuna empatia o senso di rimorso, ipnotizza le sue vittime, convincendole della propria inutilità e predestinazione al sacrifico. Più specificamente, la Challenge potrebbe essere considerata uno pseudo-videogioco suddiviso in una serie di livelli, superati i quali i teenager riescono a ritrovare quella identità sessuale e personale smarrita nella fase di transizione verso l’età adulta.

Se la Blue Whale presuppone una desacralizzazione dell’esistenza, attraverso un rito iniziatico online che porta all’alienazione della vittima disposta a porre fine inconsciamente alla propria vita, altre sono le ragioni fondanti la Fire Challenge, che ha ridotto in fin di vita molti giovani inglesi e americani, ricoverati a causa di gravi ustioni dopo aver cosparso il proprio corpo di liquido infiammabile, sotto lo sguardo attento di una telecamera a testimonianza del brutale gesto. Tale macabra moda ha riscosso un grande successo sul web, stante la volontà dei “giocatori” di accrescere la propria popolarità e trovare, nei social network, un riconoscimento su larga scala del proprio IO.

I casi di minorenni che decidono di abbracciare macabri rituali e di immortalarli con i loro smartphone, così da pubblicarli in rete senza alcuna censura, crescono in modo esponenziale a causa di un uso sempre più “perverso” della rete, trasformata in una piattaforma digitale di spettacolarizzazione della morte.

A riprova, è sufficiente analizzare il fenomeno del Choking Game, la cui unica regola da osservare consiste nell’auto-provocarsi uno svenimento ricorrendo all’iperventilazione, così da bloccare l’afflusso di sangue al cervello mediante compressione della carotide. Ciò che auspicano i giovani giocatori è di poter godere di uno stato di presunta estasi successiva alla perdita dei sensi, alimentando la tendenza tutta adolescenziale a sperimentare sensazioni adrenaliniche da condividere sulle piattaforme social in cerca di accettazione da parte del gruppo di appartenenza.

Per i teenager, che sottovalutano le conseguenze mortali di tale pratica, suddetto gioco permette loro di “sballarsi” senza ingerire sostanze stupefacenti, mantenendo l’aurea dei “bravi ragazzi”[3].

Qual è la posizione dell’Italia in merito ai reati di istigazione al suicidio per via telematica?

I “giochi della morte” che spopolano in rete tra i giovanissimi sono il “lato oscuro” di un uso improprio delle possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico, atto a trasformare i social network in trappole fatali in cui è sempre più evanescente la linea di demarcazione tra il reale e il virtuale, tra ciò che è lecito e ciò che non lo è.

Le regole devianti della Balena Blu hanno determinato un incremento significativo nel numero di suicidi verificatisi in Russia – solo nel 2017 se ne contarono circa 157 –, non lasciando, peraltro, esente il nostro Paese dall’aumento di casi di giovani auto-lesionatesi e deceduti a seguito del coinvolgimento nella “spirale della morte online”.

La Cassazione penale, Sez. V, il 22 dicembre 2017 ha emesso la sentenza n. 57503[4] in merito alla configurabilità del reato di istigazione al suicidio in relazione alla pratica della Blue Whale Challenge.

Il ricorrente, indagato per i reati di istigazione al suicidio e adescamento di minori, veniva imputato di aver inoltrato messaggi per indurre al suicidio una minorenne, la quale, però, si era limitata a infliggersi delle lievi lesioni. Pertanto, il fatto che la giovane non avesse tentato il suicidio non consentiva di integrare l’elemento oggettivo richiesto dall’articolo 580 c.p.[5], essendo a tal fine necessario che il tentativo di istigazione al suicidio si concretizzi nella morte della vittima o in lesioni gravi o gravissime auto-inflitte dalla stessa sulla sua persona.

La Cassazione, attenuando la portata istigatoria di alcuni messaggi rinvenuti sui cellulari delle parti in causa, ha però ritenuto che la condotta del presunto istigatore fosse inquadrabile nella fattispecie di reato di “adescamento di minorenni” ex art. 609-undecies c.p.[6], rigettando da ultimo il ricorso[7].

La Balena Blu è l’ultima angosciante forma di manifestazione dei reati collegati al cyberbullismo[8], che fanno leva sulla malleabilità delle menti degli adolescenti facilmente plagiabili dai curatori di questi giochi raccapriccianti, che detengono il controllo sulla vita delle vittime chiamate, come meri automi, a ubbidire alle direttive loro impartite.

Esiste un antidoto al “veleno dei giochi della morte online”?

La risposta a tale quesito sarebbe stata rinvenibile, fino alla sentenza n. 96 del 1981 della Corte costituzionale[9], nell’articolo 603 del nostro c.p.[10]. Esso, infatti, era l’unico esempio di penalizzazione della condotta di chiunque assoggettasse al proprio potere una persona, rendendola incapace di autodeterminarsi a causa della condizione di dipendenza psicologica ed emotiva al volere del plagiante[11].

La pronuncia della Corte trovava fondamento in tre ordini di ragioni:

-l’indeterminatezza della norma, in contrasto con il principio di tassatività (ex articolo 25 Cost.);

-la non verificabilità del fatto contemplato dalla fattispecie;

-il rischio di giudizi arbitrati da parte dell’organo decidente nell’accertamento del reato.

Nonostante l’abrogazione di suddetta disposizione sia stata resa necessaria dall’impossibilità di determinare con certezza lo stato di incoscienza del plagiato, nel corso degli anni si è tentato di reintrodurre il reato di plagio psicologico nel nostro ordinamento. Si è pertanto giunti nel corso della XIV Legislatura all’approvazione di una “legge mancata”, in quanto il disegno di legge per inserire l’articolo 613-bis nel c.p.[12] non ha concluso il suo iter di approvazione.

Esponenti del mondo cattolico-protestante hanno con fermezza ribadito la propria contrarietà all’introduzione di siffatto reato, in quanto la proposta di legge avrebbe messo a rischio l’esercizio della libertà religiosa. Si riteneva, infatti, che la conversione religiosa indotta tramite predicazione o per emulazione, consistente in una forma di coartazione della volontà del convertito mediante condizionamento psichico, potesse di per sé stessa costituire reato.

Conclusione: cosa si può concretamente fare contro i “nuovi mali del secolo”?

Nonostante in Italia manchi una disciplina che regolamenti il reato di manipolazione mentale, conseguente oggigiorno principalmente ai rischi di adescamento per via telematica dei minorenni, in altri Paesi, quali la Francia[13], il Belgio e la Spagna, tale reato è stato istituito all’interno degli ordinamenti nazionali. La Gran Bretagna, invece, non ha “azzardato” la criminalizzazione di tali condotte, pur avendo tentato di accostare il concetto di plagio a quello di “brainwashing”.

Allora, in un contesto di crescente allarme sociale rispetto ai pericoli a cui il web impietosamente espone i giovani e di vuoti normativi per la penalizzazione delle condotte dei curatori di queste sfide della morte, si è iniziata a tessere una fitta rete nazionale di sinergica collaborazione tra i genitori, deputati a farsi attente sentinelle dei segnali di disagio dei propri figli prodromici alla commissione di atti auto-lesivi, e gli educatori. Tali soggetti devono essere coadiuvati dall’apporto specialistico imprescindibile degli psicologi e della Polizia Postale a cui riportare fatti sospetti, in un’ottica di prevenzione piuttosto che di mero contrasto di tali fenomeni criminali.

La natura dicotomica della rete, sempre più riguardata come un pendolo oscillante tra la lesione dei valori della privacy e della libertà, da un lato, e l’arricchimento del proprio sapere, dall’altro, impone ai Governi nazionali di impegnarsi in una più capillare campagna di sensibilizzazione dei giovani sull’utilizzo sapiente delle potenzialità del web. Tale strategia permetterà di “fare squadra” nella dimensione volatile di Internet, in cui si stanno sviluppando sindromi di dipendenza patologica da iperconnettività che affliggono una percentuale via via crescente di adolescenti, facili prede di adescatori senza scrupoli disposti a sacrificarne le esistenze.


[1] Per maggiori approfondimenti sul fenomeno della Blue Whale, v. Barlozzari E., Nella mente dell’ideatore del Blue Whale, in Il Giornale 2017, http://www.ilgiornale.it/news/cronache/blue-whale-e-godimento-mortale-tutta-colpa-web-1400701.html; Manfuso S., Educazione e leggi per combattere Blue Whale, in The Huffington Post 2017, https://www.huffingtonpost.it/sara-manfuso/educazione-e-leggi-per-combattere-blue-whale_a_22117013/.

[2] Per un elenco dettagliato delle “50 regole della morte” della Blue Whale Challenge, v. Rossi A., Blue whale, ecco tutte le 50 regole del “gioco” dell’orrore, in Il Giornale 2017, http://www.ilgiornale.it/news/cronache/blue-whale-ecco-tutte-50-regole-gioco-dellorrore-1397469.html.

[3] Per un’analisi critica sul ruolo fuorviante dei social media a cui è demandata la funzione divulgativa e informativa connessa al fenomeno dei suicidi di massa tra i giovani, conseguenza di un uso sconsiderato della rete, cfr. Cuffaro C. I., Ieri blue whale, oggi blackout: perché i media dovrebbero smettere di alimentare la psicosi dei suicidi giovanili, in Linkiesta 2018, https://www.linkiesta.it/it/article/2018/09/15/ieri-blue-whale-oggi-blackout-perche-i-media-dovrebbero-smettere-di-al/39434/.

[4] Cfr. Corte cass., V sez. penale, sent. n. 57503 del 22 dicembre 2017.

[5] L’articolo 580 del c.p., rubricato «Istigazione o aiuto al suicidio», recita: «Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità di intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all’omicidio».

[6] L’articolo 609 undecies del c.p., rubricato «Adescamento di minorenni», recita: «Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione».

[7] Cfr. Redazione Giurisprudenza Penale, Blue whale: non è configurabile il tentativo di istigazione al suicidio nel caso di invio di messaggi, pur se contenenti l’invito a compiere atti potenzialmente pregiudizievoli, in Giurisprudenza Penale 2017, http://www.giurisprudenzapenale.com.

[8] Cfr., Morosi S., Cyberbullismo, la violenza è online. Se i minori sono vittime di coetanei, in Il Corriere della Sera 2015, https://www.corriere.it; Proietti M. M., Minori e uso corretto dei social tra cyber bullismo, devianza giovanile e forme di dipendenza “sine substantia”, in Ordine Dei Giornalisti – Consiglio Regionale della Toscana, http://www.odg.toscana.it/.

[9] Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n.96 del 9 aprile 1981. Deposita in cancelleria l’8 giugno 1981. Pubblicazione in “Gazz. Uff.” n. 158 del 10 giugno 1981.

Disponibile qui: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:1981:96.

[10] L’abrogato articolo 603 del c.p., rubricato «Plagio», recitava: «Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni».

[11] Per maggiori approfondimenti in merito al reato di plagio [rectius manipolazione psicologica], v. Acquaviva M., Manipolazione psicologica: è reato?, in La legge per tutti 2018,  https://www.laleggepertutti.it/199611_manipolazione-psicologica-e-reato.

[12] L’articolo 613-bis, rubricato «Manipolazione mentale», avrebbe previsto quanto segue: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque mediante tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione praticate con mezzi materiali o psicologici, pone taluno in uno stato di soggezione continuativa tale da escludere o da limitare grandemente la libertà di autodeterminazione è punito con la reclusione da due a sei anni. Se il fatto è commesso nell’ambito di un gruppo che promuove o pratica attività finalizzate a creare o sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi partecipano, ovvero se il colpevole ha agito al fine di commettere un reato, le pene di cui al primo comma sono aumentate da un terzo alla metà». Per maggiori approfondimenti, cfr. Camera dei Deputati n. 190, Introduzione dell’articolo 613-bis del codice penale, concernente il reato di manipolazione mentale, proposta di legge d’iniziativa del deputato Pino Pisicchio, 15 marzo 2013.

Pdf disponibile qui: http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0001030.pdf.

[13] In Francia i curatori che inducono al suicidio, tramite la pratica della Blue Whale, i giovani internauti sono puniti per il reato di manipolazione mentale con la reclusione a anni cinque di carcere e con il pagamento di ingenti multe. Essi, infatti, sono accusati di determinare «uno stato di soggezione attraverso l’esercizio di gravi e ripetute pressioni o tecniche volte ad alterare la capacità di giudizio degli adepti». Sul punto, v. Mirò D’aniello T. J., Blue Whale e la manipolazione mentale, in Ius In Itinere 2018, in https://www.iusinitinere.it/blue-whale-la-manipolazione-mentale-7074.


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