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Il Caso Uber Pop: profili di diritto italiano ed internazionale

di Davide Alesso


Premessa

La rapida evoluzione tecnologica degli ultimi anni sta portando progressivamente alla presenza sempre più diffusa di lacune normative negli ordinamenti giuridici moderni, la cui conseguenza è una ‘grey zone’ in cui i Legislatori nazionali non sono in grado di dare risposte rapide ed esaustive ai problemi connessi al mondo digitale e dell’innovazione. Un tipico ed emblematico caso di questo scenario è rappresentato dall’avvento di Uber e, in particolare del servizio Uber Pop, che nell’ultimo lustro ha impegnato i tribunali di tutto il mondo, compresa l’Italia. Nel panorama globale relativo alla mobilità urbana, Uber si colloca fra gli strumenti più utilizzati da parte degli utenti, per via dei prezzi vantaggiosi e della facile reperibilità degli autisti attraverso smartphone o tablet. Nello specifico, il servizio Uber Pop consente, attraverso un’applicazione software mobile (i.e. una app), l’incontro fra la domanda (gli utenti registrati che hanno necessità di spostarsi) e l’offerta, ovvero gli autisti di automobili private[1], proponendo una valida (ed economica) alternativa all’utilizzo di taxi e noleggio con conducente (NCC)[2], ma, a differenza di quest’ultime, senza essere in possesso della apposita licenza per il trasporto dei viaggiatori. Proprio l’assenza delle apposite licenze per l’esercizio dell’attività da parte degli autisti ha provocato reazioni molto dure da parte dei tassisti, e delle relative associazioni, sfociate in numerosi giudizi dinnanzi ai tribunali nazionali e internazionali. La presente analisi, breve e non certamente esaustiva dei problemi connessi alla diffusione del servizio Uber Pop, consente di sottolineare ancora una volta lo stretto rapporto fra diritto, tecnologia e mercato, confermando una generale arretratezza delle norme giuridiche rispetto alle esigenze degli utenti/consumatori coinvolti nell’inarrestabile evoluzione tecnologica.

La normativa e la giurisprudenza italiana

In Italia, il trasporto di persone mediante autoservizi non di linea è regolato da una normativa particolarmente stringente e dettagliata, in ragione del fatto che tale servizio è riconosciuto come di interesse pubblico. La materia è attualmente disciplinata a livello centrale dalla legge quadro n. 21/1992, che contiene le linee essenziali dell’organizzazione del mercato, demandando alle regioni e ai comuni l’attuazione e la gestione dei veicoli autorizzati a erogare il servizio sul territorio (taxi e NCC). Più precisamente, il trasporto mediante autoservizi non di linea è caratterizzato dal trasporto collettivo o individuale di persone in modo non continuativo, o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta[3]. L’esercizio di questo tipo di servizio presuppone l’ottenimento di una licenza (taxi) o una autorizzazione (nel caso di NCC), concesse dai comuni a coloro che siano iscritti ad un apposito albo[4]. Proprio la mancanza di un titolo per lo svolgimento dell’attività, ha spinto alcune fra le principali associazioni di tassisti a rivolgersi all’autorità giudiziaria per impedire a Uber l’erogazione del servizio Pop. Il Tribunale di Milano con due pronunce, in via cautelare prima[5] e in fase di reclamo[6] poi, si è espresso sulla violazione da parte di Uber (e, in particolare, del servizio Uber Pop[7]) delle norme in materia di trasporto pubblico non di linea, affermando che esiste un rapporto di concorrenza sleale fra il servizio di trasporto mediante taxi o noleggio con conducente e gli autisti di Uber in violazione dell’art. 2598, comma 3, cod. civ.[8], in quanto i drivers di Uber non sono in possesso di alcuna licenza o autorizzazione per l’esercizio del trasporto urbano non di linea. Pertanto, il Tribunale di Milano, in entrambe le ordinanze, ha deciso di inibire il servizio di Uber Pop su tutto il territorio nazionale.

Il contesto europeo

La legittimità del servizio Pop ha impegnato anche i giudici degli Stati membri dell’Unione Europea, con soluzioni spesso in linea fra di loro. Significativo è il caso della Francia dove, agli inizi del 2015, è stata approvata la cd. Loi Theveneud che punisce il trasporto di passeggeri da parte di soggetti che non siano in possesso di apposita licenza[9]. La questione è stata portata sino al Conseil Consistutionnel francese, che ha dichiarato la legittimità della Loi Theveneud con la conseguente inibizione permanente del servizio Uber Pop. Analoghi provvedimenti sono stati presi in Germania, Belgio e Olanda, nei quali i rispettivi giudici hanno bloccato il servizio Uber Pop su tutto il territorio nazionale. Una diversa posizione è stata presa dai giudici spagnoli che, sebbene in un primo momento abbiano immediatamente inibito Uber Pop (Tribunale di Madrid), successivamente (Tribunale di Barcellona) hanno rinviato pregiudizialmente la questione alla Corte di Giustizia europea per pronunciarsi sul tema. I giudici europei si sono espressi qualificando i servizi offerti da Uber come servizi di trasporto ai sensi dell’art. 58, par. 1, TFUE[10] nella misura in cui siano prestati da autisti non professionisti inseriti nell’organizzazione sottoposta al controllo di Uber[11]. La pronuncia della Corte europea, cogliendo l’opportunità offerta dal rinvio pregiudiziale, ha fornito un’interpretazione utile all’uniformazione della materia[12]. Nell’accogliere integralmente le conclusioni formulate dall’Avvocato Generale, la Corte, infatti, ha sancito che il servizio Uber Pop, prestato da autisti non professionisti, rientra nel servizio di trasporto e, pertanto, deve necessariamente adeguarsi alle normative nazionali degli Stati membri in materia, potendo operare solo a seguito dell’ottenimento delle specifiche licenze e autorizzazioni.

Diritto statunitense

Merita un cenno particolare lo scenario giuridico presente negli Stati Uniti, paese dove è nata e si è sviluppata l’app di Uber[13]. La disciplina statunitense in materia di modalità urbana non di linea si articola su un triplice piano: federale, statale e municipale[14]. Sebbene la normativa statale contribuisca a delineare alcuni ambiti generali (si pensi alla nozione di “unfair competition[15]), la regolamentazione più specifica è affidata agli Stati e alle singole municipalità. Questo decentramento delle competenze ha avuto come conseguenza una eterogeneità delle regolamentazioni e diverse reazioni rispetto al problema della mobilità urbana. Alcune municipalità hanno deciso di non ostacolare il nuovo operatore (ad esempio, la municipalità di Pittsburgh), altri hanno deciso di estendere a Uber la disciplina applicabile ai vettori tradizionali (come lo Stato della South Carolina o la municipalità di New York), mentre altri Stati (California, Colorado, Massachusetts) hanno cercato di regolare la nuova piattaforma senza gravare in maniera significativa sul funzionamento e sulle caratteristiche principali del servizio[16]. Negli Stati Uniti sembra dunque essere privilegiata una soft regulation derivante dal caratteristico sistema di poteri normativi decentrati e da una maggiore propensione all’individualismo economico unito a una più spiccata propensione all’utilizzo delle nuove tecnologie.

Conclusioni

Le analisi normative e le principali pronunce giurisprudenziali sopra citate, consentono di delineare un primo, ma non definitivo, quadro giuridico relativo al servizio Uber Pop e, in generale, al proliferare di applicazioni che si affiancano ai servizi tradizionali di trasporto urbano non di linea. La presenza di una invasiva normativa di settore, come in Italia e nel resto d’Europa, sembra non lasciare attualmente spazio al diffondersi di sistemi alternativi di mobilità pubblica non di linea, nonostante la domanda degli utenti/consumatori si stia orientando verso queste nuove modalità di trasporto. La sfida futura (ma, sarebbe meglio dire attuale) dei legislatori nazionali sarà presumibilmente quella di operare un giusto bilanciamento fra le esigenze del mercato e la tutela degli operatori tradizionali, tenendo sempre in considerazione che l’inarrestabile e travolgente progresso tecnologico sta diventando sempre più una parte fondamentale e irrinunciabile della nostra vita quotidiana.


[1] L. BELVISO, “Il caso Uber negli Stati Uniti e in Europa fra mercato, tecnologia e diritto. Obsolescenza regolatoria e ruolo delle Corti”, in “Rivista dei media” n. 1/2018. Reperibile su: http://www.medialaws.eu/rivista/il-caso-uber-negli-stati-uniti-e-in-europa-fra-mercato-tecnologia-e-diritto-obsolescenza-regolatoria-e-ruolo-delle-corti/

[2] Uber, e la relativa app, è espressione della cosiddetta sharing economy che, per usare una definizione dell’Oxford Dictionary, è “un sistema economico nel quale beni e servizi sono condivisi fra privati, gratuitamente o in cambio di una somma di denaro, tipicamente attraverso internet”. Si veda: https://en.oxforddictionaries.com/definition/sharing_economy

[3] Art. 1 (Autoservizi pubblici non di linea), L. 21/1992: “Sono definiti autoservizi pubblici non di linea quelli che provvedono al trasporto collettivo od individuale di persone, con funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi, lacuali ed aerei, e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta.
Costituiscono autoservizi pubblici non di linea: a) il servizio di taxi con autovettura, motocarrozzetta, natante e veicoli a trazione animale; b) il servizio di noleggio con conducente e autovettura, motocarrozzetta, natante e veicoli a trazione animale
”.

[4] S. TORRICELLI, “Uber nel mercato italiano del trasporto pubblico non di linea: un ospite senza invito”, in “Revista de la Escuela Jacobea de Posgrado” n. 13/2017, pag. 148 ss.

[5] Trib. Milano, sez. spec. in materia d’impresa, ord. 25 maggio 2015

[6] Trib. Milano, sez. spec. in materia d’impresa, ord. 9 luglio 2015

[7] La controversia ha riguardato il servizio di Uber Pop, la quale mette in contatto l’utente e l’autista, il quale non è in possesso di alcuna autorizzazione né licenza. Discorso parzialmente diverso per il servizio Uber Black, poiché esso, in Italia, si serve di autisti NCC, operando dunque in un regime autorizzatorio.

[8] Nella stessa direzione: Trib. Torino n. 1553, 22 marzo 2017, con nota di A. PISTILLI, “Caso Uber: la concorrenza richiede la sussistenza di una comunanza di clientela”, in “Il Diritto              Industriale” n. 1/2018, pag. 32 ss.

[9] “LOI n° 2014-1104 du 1er octobre 2014 relative aux taxis et aux voitures de transport avec chauffeur”, reperibile (in lingua) su: https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000029527162&categorieLien=id

[10] Art. 58 TFUE (ex articolo 51 TCE), paragrafo 1: “La libera circolazione dei servizi, in materia di trasporti, è regolata dalle disposizioni del titolo relativo ai trasporti”.

[11] Corte di Giustizia Europea, causa C-434/15, 20 dicembre 2017. Per il testo integrale della sentenza si rinvia a: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30d8c62422c082794b19ba1a83175204a71a.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxyPaxn0?text=&docid=198047&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=391842

[12] M. TURCI, “Sulla natura dei servizi offerti dalle piattaforme digitali: il caso Uber”, in “La nuova giurisprudenza civile commentata” n. 7-8/2018, pag. 1088 ss.

[13] Uber nasce nel 2009 in California su iniziativa di Travis Kalanick e Garrett Camp, iniziando a operare nella città di San Francisco per poi estendersi in diverse città statunitensi (New York City, Chicago, Washington) e in altri Stati del mondo.

[14] L. BELVISO, “Il caso Uber negli Stati Uniti e in Europa fra mercato, tecnologia e diritto. Obsolescenza regolatoria e ruolo delle Corti”, in “Rivista dei media” n. 1/2018

[15] Tale nozione è contenuta nel Federal Trade Commission Act del 1914 e successive modifiche. Per un maggiore approfondimento sul tema si veda: https://www.ftc.gov/enforcement/anticompetitive-practices

[16] Nello specifico, a partire dal 2013, gli Stati che hanno aderito a questa modalità, hanno creato una nuova categoria di veicoli autorizzati al trasporto non di linea (“Transportation Network Companies – TNC”), nella quale rientra Uber e tutte le app che prestano servizi di mobilità attraverso strumenti tecnologici.


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