L’ICO per gli operatori giuridici
di Francesca Ferrari
1. Premessa
Si sente parlare ormai quotidianamente della tecnologia blockchain e delle sue innumerevoli applicazioni. Una delle più interessanti al momento è quella relativa alle Initial Coin Offerings (nome che evidentemente vuole richiamare le Initial Public Offerings), una modalità digitale di raccolta di risorse finanziarie tramite l’emissione di c.d. “token digitali”, insiemi di informazioni registrate su blockchain con i quali possono essere trasferiti diritti di proprietà a fronte del pagamento in criptovalute. Quella degli ICO (detta anche cryptocrowdfunding) è tuttavia una materia ancora non regolamentata, e presenta dunque numerose sfide sia per gli interpreti sia per gli operatori giuridici che si trovano ad affrontarla.
2. La procedura ICO
Il soggetto che intende emettere token per finanziarsi tramite una procedura ICO deve pubblicare un c.d. white paper, un documento che ha lo scopo di descrivere ai potenziali investitori il progetto e gli aspetti tecnici del prodotto nonché dare indicazione in merito alle somme necessarie, alle tempistiche, al tipo di criptovaluta oggetto del token, alla quantità di token che saranno trattenuti dall’emittente (normalmente tra il 10 e il 50%) nonché all’elenco dei servizi che saranno disponibili in cambio dei token. Ben si comprende come il white paper sia lo strumento necessario per convincere i potenziali investitori della credibilità e delle potenzialità del progetto dell’emittente.
Altrettanto rilevante è fornire garanzie per gli investitori, attraverso la creazione del c.d. “escrow-portafoglio” nel quale conservare i fondi fino alla conclusione dell’ICO ed alla successiva emissione dei token nel caso di buona riuscita della stessa oppure alla restituzione delle somme versate nel caso in cui l’ICO non abbia raggiunto i risultati preventivati. Prevedere una procedura trasparente di rimborso dei fondi è – come appare evidente – un altro passaggio fondamentale.
L’offerta dei token al pubblico è poi effettuata per un periodo determinato di tempo e solitamente in due fasi, una di prevendita (presale) ed una di vendita (sale); durante la prevendita sarà offerto ai potenziali sottoscrittori dei token un trattamento favorevole dal punto di vista del prezzo di sottoscrizione o dei servizi legati al token emesso; il valore dei token sottoscritti sarà poi legato all’andamento del progetto dell’emittente.
Dal punto di vista contrattuale, invece, il rapporto tra il sottoscrittore e l’emittente è generalmente disciplinato tramite un Token Sale Agreement che spesso prevede di fatto una vendita di cosa futura.
3. Inquadramento giuridico del token
Come inquadrare giuridicamente il token? Tutto dipende da quali diritti concede il token stesso, ed è fondamentale dunque il contributo dell’operatore giuridico nel progettare opportunamente il token rilasciato in modo tale da non ricadere nella disciplina dei prodotti finanziari; infatti il token più frequentemente richiesto dall’emittente è il c.d. “utility token”, il quale attribuisce esclusivamente il diritto di acquistare beni o servizi messi a disposizione dall’emittente a condizioni favorevoli rispetto ai futuri fruitori dell’attività, escludendone non solo i tratti finanziari e l’applicabilità della relativa disciplina, ma anche quelli bancari, che si presenterebbero nel caso in cui il token rappresentasse nella sostanza una criptovaluta in quanto strumento di pagamento generico.
Sul punto il Testo Unico sulla Finanza (“TUF”), di cui al D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (e successivi emendamenti) all’articolo 1, comma 1 definisce quali prodotti finanziari “gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria” e precisa che “non costituiscono prodotti finanziari i depositi bancari o postali non rappresentati da strumenti finanziari”. Occorre dunque impostare il token in modo tale che non possa essere inquadrabile tra le altre forme di investimento di natura finanziaria, alla luce del fatto che secondo il comma 2 dell’articolo 1 del TUF “strumento finanziario si intende qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell’Allegato I del TUF” (nel quale in ogni caso non sono incluse nemmeno le criptomonete). D’altronde anche la Corte di Giustizia Europea con la sentenza C-264/14 il 22 ottobre 2015 sembra escludere qualsiasi paragone tra le criptomonete e gli strumenti finanziari; la citata sentenza sottolinea appunto come le operazioni di cambio della valuta virtuale non ricadono nella sfera di applicazione delle esenzioni previste dall’articolo 135, paragrafo 1, lettera f) della direttiva 2006/112/CE del Consiglio Europea (c.d. Direttiva IVA), ove il paragrafo f) prevede appunto l’esenzione per i prodotti finanziari.
I vantaggi di investire in una procedura ICO sono numerosi; se tuttavia da un lato è possibile guadagnare ingenti somme investendo anche poche centinaia di euro, dall’altro è elevatissimo il rischio di truffe e, per fortuna, si sta diffondendo una certa diffidenza nei confronti di queste procedure quando non convincenti o non gestite in un contesto professionale.
Molte startup scelgono di condurre l’ICO in Svizzera, sfruttando le indicazioni date in materia dalla FINMA, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari svizzera, la quale ha emanato una comunicazione e delle Linee guida per chiarire alcune questioni relative alle ICO, riducendo dunque i rischi dell’operazione.
4. Le Linee guida della FINMA
Le Linee guida della FINMA danno indicazioni utili anche per le ICO italiane, suddividendo i possibili token in tre categorie:
– token di pagamento: paragonabili a semplici criptovalute, e dunque a mezzi di pagamento; sono assoggettati alla normativa antiriciclaggio;
– token di utilizzo: forniscono l’accesso “a un’utilizzazione o a un servizio digitale”, non vanno considerati quali valori mobiliari;
– token d’investimento: valori patrimoniali equiparabili a obbligazioni o strumenti finanziari derivati, trattati dunque quali valori mobiliari e soggetti alla disciplina finanziaria.
Anche secondo la FINMA dunque i singoli token devono essere valutati in base alle loro funzioni e secondo una classificazione sicuramente configurabile anche in Italia.
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