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Droni armati nella base di Sigonella

di Francesca Sironi De Gregorio

Il 22 febbraio 2016 il Wall Street Journal pubblicava un articolo nel quale veniva resa nota l’autorizzazione data al termine di lunghi negoziati dal governo Renzi alla presenza di droni armati statunitensi nella base siciliana di Sigonella. La base ospita l’Alliance Ground Surveillance, il principale asset della NATO per missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione. L’AGS di Sigonella è composto da due settori: il settore aereo basato sulla piattaforma robotica Hale, High-Altitude Long-Endurance Unmanned Aircraft System, Globak Hawk RQ-4 Block 40 e quello di terra a cui è demandata sia la capacità di controllo della missione che l’analisi, la distribuzione ed archiviazione dei dati.

Accordo Italia-USA

L’accordo con il quale l’Italia concede agli Stati Uniti l’uso e l’installazione di infrastrutture in Sigonella (il c.d. Technical Agreement on Sigonella) è stato concluso il 6 aprile 2006 dal Ministero degli Difesa della Repubblica Italiana e il Dipartimento della Difesa statunitense. L’Agreement dividere i compiti tra le autorità italiane in qualità di stato ospitante e quelle statunitensi quali sovrane sui mezzi militari ospitati.

Se da un lato la base è posta sotto il comando italiano quale stato territorialmente sovrano, spetta al Comandante statunitense il pieno controllo sui militari statunitensi, le attrezzature e le operazioni militari (art 3 Section VI). Viene previsto al contempo un sistema di notifica all’autorità italiana competente per tutte le “significant US activities, with specific reference to the operational and training activity”. A seguito di tale notifica, il comandante Italiano ha l’onere di avvisare il comando americano qualora ritenga che l’operazione o l’atto non rispettino la legge italiana applicabile nonché di intervenire al fine di interrompere tutte quelle attività statunitensi che chiaramente mettono in pericolo la vita, la salute pubblica e che non rispettano la legge italiana (lett. c), n. 1 e 7, della parte dedicata al Comandante italiano nell’Annex No. 5). L’articolo 4 della Sezione VI aggiunge poi la necessità di una autorizzazione italiana per le modifiche permanenti alle operazioni belliche.

Alla luce di quanto detto, si nota come il Technical Agreement del 2006 (e verosimilmente anche l’allegato del 2016 sui droni armati) sia stato concluso nella forma semplificata, difettando di ratifica da parte del Parlamento in violazione dell’articolo 80 della Costituzione. L’articolo 80 recita: “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi.

La concessione di una base militare ad una potenza straniera (benché alleata NATO) rientra senza ombra di dubbio nelle fattispecie presenti all’art 80: è un accordo che oltre a importare variazioni di territorio è politico in natura (v. opinione di Conforti). L’accordo si inserisce in un panorama di memorandum, trattati e accordi vari che i singoli ministeri stanno sempre più spesso concludendo in forma semplificata e in assenza di legge di ratifica, scavalcando di fatto i poteri delle Camere, difficili da persuadere ad un voto favorevole in tali circostanze.

Fino al 2016 quindi, era già in atto l’utilizzo di droni e altra attrezzatura statunitense in partenza da Sigonella, quello che apparentemente si modifica con il nuovo allegato del 2016, allegato secretato, è che viene data una sorta di autorizzazione alla presenza (e quindi all’impiego) di droni armati, verosimilmente da dispiegarsi nella lotta contro il terrorismo islamico in Nord Africa e nella zona del mediterraneo.

Utilizzo dei droni

I droni possono essere utilizzati per tre diversi tipi di operazioni, nello specifico (a) per la consegna di aiuti umanitari in sicurezza in zone ad alto rischio; (b) per raccogliere informazioni e come mezzo di sorveglianza e (c) nelle pratiche di c.d. “targeting killing”.

La locuzione “targeting killing” si riferisce ad un attacco letale commesso dalle forze armate di uno Stato contro un soggetto specifico non sottoposto a custodia legale.

Benchè il quadro giuridico di riferimento in materia di attacchi commessi a mezzo drone sia ancora incerto, sarebbe scorretto approcciarsi al tema che non regolato dal diritto. Anzitutto va introdotto un distinguo: i droni possono essere utilizzati come mezzo e metodo di guerra oppure all’interno di operazioni di law enforcement o di polizia. Nel primo caso si applicheranno le norme di diritto internazionale umanitario e nel secondo quelle relative alla tutela dei diritti umani e del diritto penale generale.

Concentrandosi sulla condotta delle ostilità, il diritto umanitario è quella branca del diritto internazionale che si applica in caso di conflitto armato internazionale o non internazionale, disciplinando i mezzi e i metodi della guerra e fornendo soglie minime di protezione dei civili e di coloro che non prendono parte attiva alle ostilità. A norma del diritto internazionale, sono permessi nel corso di un conflitto armato solo quegli attacchi contro un obiettivo militare (principio di distinzione tra obiettivi civili e militari) e che siano proporzionati rispetto al vantaggio che si ritiene di ottenere con l’attacco stesso.

I droni e altre armi semi-autonome non sono considerate armi illegali dal diritto internazionale, anzi le operazioni militari condotte per mezzo di droni sembrano aver un equipaggiamento più preciso e in grado di ridurre il numero di vittime civili e proteggere al contempo gli operatori stessi.

È necessario però spingere gli stati che utilizzano la pratica del targeting killing a condurre operazioni di risk assessment per ridurre il numero di vittime civili, chiarire le basi giuridiche sulle quali operano e a rilasciare informazioni sui singoli attacchi per verificare se nel concreto siano rispettate le leggi e le consuetudini in guerra.


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